Wisława Szymborska ci ricorda di guardare il mondo con stupore
La rubrica culturale del mese di aprile è dedicata ai vincitori e alle vincitrici del Premio Nobel. Protagonista di questa seconda uscita è Wisława Szymborska, poetessa polacca che, quando vinse il Premio Nobel per la Letteratura nel 1996, in Italia era ancora piuttosto sconosciuta. Da allora ha superato numerosi confini nazionali, ma crediamo che parlare della sua poesia oggi, in un momento storico così pieno di situazioni che sembrano inestricabili, possa essere d’aiuto. Perché? Per la sua capacità di rendere “stupefacente” il mondo in cui viviamo tutti i giorni.
“Una poesia che, con ironica precisione, permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti d’umana realtà”. È questa la motivazione per cui, nel 1996, l’Accademia di Svezia consegna il Premio Nobel per la Letteratura a Wisława Szymborska. Sembra una cosa complessa, in realtà capire cosa intendevano i membri della prestigiosa accademia è un esperimento alla portata di tutti. Aprite uno dei suoi libri, sfogliatene le pagine e scegliete una poesia qualsiasi: non vi troverete davanti a versi complicati adatti solo a studiosi di poesia. I componimenti di Wisława Szymborska sono speciali, proprio perché capaci di parlare a tutti.
Le composizioni della poetessa riescono ad esprimere i pensieri complicati della vita di ognuno con le parole proprie di ognuno. Nelle sue poesie ci si confronta con domande che tutti almeno una volta ci siamo posti, con situazioni che tutti abbiamo vissuto. Wisława Szymborska, però, riesce ad aprirsi un varco nella superficie apparentemente banale della realtà e a smontare ciò che vediamo con la sua leggera ironia. Allo stesso tempo, ci ricorda che per cercare di capire il mondo bisogna imparare a stupirsi. Senza lo stupore, infatti, non si può pensare perché non è possibile guardare le cose in maniera diversa.
La sua poesia, Disattenzione, è allora un monito allo stupore come elemento imprescindibile per essere nel mondo:
“Ieri mi sono comportata male nel cosmo.
Ho passato tutto il giorno senza fare domande,
senza stupirmi di niente.
Ho svolto attività quotidiane,
come se ciò fosse tutto il dovuto.
Inspirazione, espirazione, un passo dopo l’altro,
incombenze,
ma senza un pensiero che andasse più in là
dell’uscire di casa e del tornarmene a casa.
Il mondo avrebbe potuto essere preso per un mondo
folle,
e io l’ho preso solo per uso ordinario”.
Roberto Saviano nel 2012, raccontando al pubblico della trasmissione Che tempo che fa chi era Wisława Szymborska, è riuscito a cogliere molto bene il pregio della poetessa «È una poetessa che rimette al mondo le parole, le rigenera, le ricostruisce. Tu nei suoi versi incontri tutte parole che già conosci, sensazioni che hai provato, ambienti che hai visto mille volte. Un po’ come fa Mozart con la sua musica, la leggi sul pentagramma e ti sembra tutto lineare, poi la ascolti ed è l’universo. Questa poetessa ha la stessa potenza».
E qual è una di quelle situazioni che tutti, specialmente noi studenti, abbiamo dovuto affrontare? Scrivere il curriculum. In questa poesia la Szymborska ne smonta il procedimento e con parole davvero semplici racconta i paradossi: di tante cose fatte nell’esistenza ciò che resta è una pagina con quattro dati:
“A prescindere da quanto si è vissuto
il curriculum deve essere breve.
È d’obbligo concisione e selezione dei fatti.
Cambiare paesaggi in indirizzi
e malcerti ricordi in date fisse.
Di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati”.
Non si sa molto però della vita di Wisława Szymborska. Sappiamo che è nata il 2 luglio 1923 a Kórnik, in Polonia; conosciamo i dettagli della sua attività letteraria, quindi date e pubblicazioni, ma sono davvero poche le curiosità note su di lei o sul suo modo di intendere la poesia. E per sua volontà: «Preferirei rivendicare il diritto di non scrivere sulla mia poesia. Quanto più l’attività creativa mi assorbe, tanto meno sento la voglia di formulare un credo poetico».
Non è un caso quindi che, proprio nel discorso da lei tenuto in occasione del conferimento del Premio Nobel, Szymborska abbia fatto una sorta di elogio al “non so”. Nelle sue poesie, infatti, la poetessa non ha mai voluto dare risposte. Ha provato piuttosto a declinare in mille modi il non so. Secondo lei, «l’ispirazione, qualunque cosa sia, nasce da un incessante non so». Quando si arriva a dire “io so”, invece, ci si ferma, il sapere muore perchè «perde la temperatura che favorisce la vita». La poesia deve quindi essere un’interlocuzione continua, deve risvegliare la curiosità, e la forza di questa poetessa è proprio nel non dare risposte, ma «domande in risposta a domande», dice lei. In una sua poesia, Scorcio di secolo, scrive: “Come vivere? Mi ha chiesto qualcuno a cui volevo fare la stessa domanda”.
E allora, dice Szymborska verso la conclusione del suo discorso, «il mondo, qualunque cosa noi ne pensiamo, spaventanti dalla sua immensità e dalla nostra impotenza verso esso, amareggiati dalla sua indifferenza alle sofferenze individuali, […] qualunque cosa pensiamo di questo smisurato teatro, per cui abbiamo sì il biglietto d’ingresso, ma con una validità ridicolamente breve, limitata dalle due date categoriche, qualunque cosa ancora noi pensassimo di questo mondo – esso è stupefacente».
Per conoscere meglio la produzione di Wisława Szymborska, Pass vi consiglia la lettura delle seguenti poesie:
- Piccoli annunci, da “Appello allo Yeti” (1957)
- Progetto un mondo, da “Appello allo Yeti” (1957)
- Foglietto illustrativo, da “Ogni caso” (1972)
- Ogni caso, da “Ogni caso” (1972)
- Sotto una piccola stella, da “Ogni caso” (1972)
- Amore a prima vista, da “La fine e l’inizio (1993)
- Vermeer, da “Qui” (2009)