Università semi-chiuse: un altro anno azzoppato
Le università chiudono, quasi del tutto, di nuovo. Era nell’aria e qualcuno potrà anche dire “l’avevo detto”. Un altro anno universitario azzoppato.
La situazione sanitaria del nostro Paese ha portato di nuovo a questo risultato. Difficile giudicare la scelta giusta o sbagliata: è un tema complesso, una decisione nata da una mediazione di mille interessi e analisi di dati.
Dove siamo oggi
Recita il comunicato dell’Unità di crisi dell’Università di Verona: «Le attività formative e curriculari di tutti i corsi di Laurea, Dottorato, Master, Corsi di Perfezionamento, e altre attività extra-curriculari siano svolte a distanza, esami compresi».
«Saranno svolte in presenza, mantenendo la possibilità di accesso da remoto per gli studenti, solo le attività didattiche e gli esami del 1° anno di corso delle lauree triennali, magistrali e magistrali a ciclo unico e le attività esperienziali di tutti gli anni di corso».
Dove andiamo
Andiamo quindi verso un altro anno universitario azzoppato. Azzoppato perché la didattica a distanza rende più difficile lo scambio umano e di idee. Azzera la “vita universitaria”, che non è solo la birretta al bar, ma è fatta di relazioni con colleghi studenti e docenti, scoperte, attività dei gruppi studenteschi.
Un altro anno azzoppato che rende quasi impossibili i tirocini, se non per le professioni sanitarie. Colleghi studenti che – li stimiamo dal profondo del cuore – non pensavano certo di laurearsi nel mezzo di una pandemia, quando si sono iscritti a Medicina, Infermieristica o simili.
Per non parlare di tutti i problemi – alcuni nuovi, altri noti e acuiti – del diritto allo studio, delle difficoltà legate a residenze e affitti, della follia dei trasporti pubblici.
Non si può incolpare nessuno dell’arrivo del Covid-19 in Italia. Ma si può criticare chi negli anni non ha investito in università, ricerca e sanità. Chi non ha voluto dare risposte agli allarmi decennali dell’Ordine dei Medici, quando avvertiva della carenza di personale e dell’incombente ondata di pensionamenti. Chi non ha dato risposte serie ai problemi del trasporto pubblico.
Guardare avanti
Occorre guardare al futuro, ora davvero, dell’università italiana. Un’università che deve essere in grado di rispondere ai bisogni concreti della società e dell’economia, formare le figure professionali che servono alle aziende, ma anche costruire la civiltà del domani. Formare la classe dirigente in senso tecnico, ma soprattutto in senso umano.
Guardando al nostro Veneto, fermare l’epidemia di emigrazione di giovani, non solo verso altre nazioni europee, ma anche verso le regioni vicine, che risultano molto più attrattive.
La società futura si costruisce valorizzando il meglio e creando le opportunità di miglioramento. In tutti i sensi. Il mondo universitario ha gli strumenti per alzare la voce e diventare chiave di cambiamento. Per il Paese, per i giovani che lo abitano. Che non sono il futuro, sono il presente.