Università ai tempi del Covid-19: ricordi e speranze di chi ha studiato a distanza
Tirare le somme di questi due ultimi anni accademici vissuti lontani dall’Univr sembra un esercizio mentale alquanto masochistico, ma necessario: in questa estate lenta e rovente di vaccini e green pass ci stiamo preparando a quella che potrebbe essere una nuova fase, un nuovo capitolo con un’altra normalità.
di Giuliana Corsino
Quando non riesco a dormire ho la brutta abitudine di controllare le mie caselle email: la più bella ed ordinata è quella istituzionale che utilizzo per l’università e che dal 2020 è ormai uno dei pochi collegamenti che mi rimangono con essa – Outlook solo sa quante ore ci ho passato e quanti cordiali e distanti saluti ho inviato ai miei professori, probabilmente ormai stanchi degli schermi proprio quanto me.
Dicevo: quando non dormo controllo cosa di nuovo mi serve sapere per provare a laurearmi un’altra volta. È stato così che ho letto (con occhi miopi ed insonni) della comunicazione riguardo l’erogazione della didattica per il prossimo anno accademico: una mail lunga e piena di speranza, un documento che sembra quasi un augurio incerto. In questi ultimi due anni abbiamo infatti ormai capito che il mondo è il presente e che con esso la pianificazione umana funziona solo fino ad un certo punto: viviamo giorno per giorno, direttiva dopo direttiva, senza piani, e con molte più (necessarie) prenotazioni e distanze.
Essere una studentessa universitaria durante la pandemia di Covid-19 sembra la trama di un brutto film distopico dalle aspirazioni scifi: occhi su schermi sempre accesi per interminabili lezioni dove tutti sono scorporati, quasi come la conoscenza che stanno cercando di trasmettere o afferrare (dipende da quale parte dello schermo si sta); preziosi link a riunioni Zoom scambiati come figurine, discussioni di laurea fatte in pigiama e ciabatte (io avevo anche il mio pupazzo portafortuna, parla di vantaggi). L’università che cerca di funzionare senza inciampare sul virus è iperdigitale, evanescente, lontana dispensatrice di email e madre di quella bellissima cosa che si chiama Panopto: non nascondo la sorpresa (mista a tanta nostalgia) che ho provato nello scoprire ai pochi esami in presenza quale fosse la voce non velocizzata a x2 dei professori.
Siamo tutti pixel un po’ troppo grandi e troppo sbiaditi oramai: la disconnessione dalle lezioni è divenuta non soltanto un vagare di menti stanche ma un vero e proprio problema tecnico, causato dall’improvviso morire di modem Internet ormai troppo fondamentali. Tante volte ho creduto di essere fin troppo distante anche da quello che dovrebbe essere frequentare una università. Altre volte l’assurdità non era colpa di un virus invisibile ma della fin troppo presente stupidità umana: sì, una volta ho assistito a quello che è stato definito dai media “zooombombing”. Una mattina come tante al posto della solita lezione ho dovuto assistere a 3 lunghissimi, caotici e surreali minuti di urla, bestemmie ed oscenità varie messe in atto da dei ragazzini col volto coperto da sciarpe ed occhiali, veri e propri bambini che si erano “infiltrati” nel meeting Zoom, venendo in possesso del link per chissà quali vie traverse. Una performance scioccante di cui aspetto attente analisi psicologiche in futuro, magari in interi capitoli delle tesi di laurea che saranno scritte negli anni a venire.
Difficile non è stato soltanto avere a che fare con la smaterializzazione dell’educazione: forse più doloroso è stato tornare alla materialità di una università vuota e muta, privata dei suoi suoni più familiari. Sparite le macchinette del caffè ed i passi dei corridoi affollati di studenti non sono rimasti che incavi, quiete e pavimenti vuoti e scuri. Univr è divenuta un fantasma di se stessa per ottime, giustissime ragioni. La nobiltà del dovere civico di proteggere gli altri non rende però meno triste sapere che abbiamo perso incredibili ed irripetibili opportunità, la socialità e la disperazione dei nostri vent’anni, le facce piene di caffeina e speranza dei nostri colleghi di corso. Un sentimento che sento egoista ma in cui talvolta però comunque mi perdo.
Torneranno le piadinerie, torneranno le fotocopie e gli aperitivi a pochi euro. Torneranno le corone di alloro e gli abbracci alla fine di lunghi percorsi. Forse non per noi, forse non troppo presto. Il futuro continuerà a nascondersi ed ha poco senso cercare di controllarlo a colpi di disperazione: non rimane dunque che la speranza per una stagione nuova che prima o poi dovrà arrivare. Passo dopo passo, con le dovute precauzioni.
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