U come Università, V come Verona
Dall’alfabeto per la città del domani proposto dal consigliere comunale Tommaso Ferrari, estraiamo la lettera “U come università”. Qualche riflessione sui temi sollevati dal professor Riccardo Panattoni, direttore del Dipartimento Scienze umane dell’Università di Verona
V come Verona è un podcast di Tommaso Ferrari e Traguardi, rispettivamente consigliere comunale e movimento civico di Verona. Settimana dopo settimana, dallo scorso dicembre – con uno sguardo alle elezioni amministrative del 2022 in città – si sta costruendo quello che viene definito un «alfabeto per la città del domani»: una lettera ogni puntata, con una parola significativa per il futuro di Verona e un ospite a discuterne con Ferrari.
Dalla “A come accessibilità”, alla “U come università“, l’ultima puntata pubblicata, passando per “E come ecosistema urbano” e “Q come questione generazionale”, l’alfabeto è ormai quasi concluso. L’ospite della puntata dedicata all’università è stato Riccardo Panattoni, professore ordinario di filosofia morale all’Università di Verona e direttore del Dipartimento di Scienze umane.
Qualche spunto
Partiamo dal ruolo dell’istituzione universitaria nella società. Secondo Panattoni «il futuro non è ciò che avverrà, ma ciò che sta avvenendo. E l’università è in grado di dare gli strumenti per vedere il presente in divenire».
C’è un tema che ritorna, nel podcast come nei dibattiti intorno al ruolo dell’accademia: non sia solo un luogo che fornisce strumenti pratici, sforna laureati ricchi di nozioni e produce vaccini. Tutti aspetti necessari e meritori, ma che non possono essere né il cuore, né tantomeno l’unico motore dell’attività universitaria.
Soprattutto negli ultimi anni, per rispondere alle accuse di vacuità di certe speculazioni accademiche, si ricerca nel mondo universitario il fine utilitaristico. A cosa servono i viaggi nello spazio? Per sviluppare tecnologie utili sulla Terra. A cosa serve finanziare la ricerca scientifica di base? Per essere pronti a sfornare vaccini.
Sembra quasi accantonata una delle funzioni storiche dell’università: offrire visioni. Non visioni oniriche o speculazioni filosofiche – quantomeno non solo quelle, che in dosi moderate possono anche fare bene – ma, come dice Panattoni, appunto, «dare gli strumenti per vedere il presente in divenire».
Necessaria quindi un’integrazione sempre più forte fra ateneo e territorio, per mettere a frutto queste visioni. «L’università deve essere aperta, deve aprirsi alla città. I cittadini dovrebbero pensare e attraversare gli spazi universitari come spazi che appartengono a loro. Deve esserci una continua interazione fra università e città», aggiunge Panattoni.
Su questo fronte passi in avanti negli ultimi anni ne sono stati fatti, bisogna riconoscerlo. La strada è però molto lunga ancora, e interi territori sono inesplorati. Fuor di metafora: territori nel senso concreto. Oltre alla città, che fisiologicamente ha più strumenti e opportunità, nonché vicinanza fisica, c’è la provincia. Forse ancora di più quest’ultima, proprio per le carenze strutturali rispetto al centro urbano più sviluppato, ha bisogno di essere frontiera per la Terza missione dell’ateneo.
La presenza di sedi universitarie a San Floriano o a Legnago sono già bei segnali, ma quattro mura non sono sufficienti. Serve qualcosa in più. (Mi perdonerà Villa Lebrecht, sede di Scienze viticole ed enologiche, per il “quattro mura”).
Studenti fantasmi
Ferrari a un certo punto parla di «studenti e studentesse fantasmi in una città che stenta a percepirsi come universitaria, e li vede al massimo come pagatori sicuri di affitti vicino alle sedi di studio».
Fa male sentirlo, ma come dargli torto? Pass, insieme ad altri gruppi studenteschi, ha sempre promosso un’idea di attivismo affinché gli anni universitari non siano il ciclo chiuso lezione-spritz-esame che si sublima nel diploma di laurea. Senza peraltro puntare il dito verso chi vuole viverla così, liberissimi.
D’altro canto, però, l’ambiente è fondamentale. Se la città vede gli studenti come meri «pagatori sicuri di affitti», è difficile far sentire la propria voce. Se università e città saranno in grado di creare un ambiente più accogliente per gli studenti e le studentesse di oggi, allora domani – ma anche già oggi, siamo tutti maggiorenni e vaccinati (tranne contro il Covid) – avremo forse cittadini e cittadine più coinvolti, attenti alle dinamiche sociali e in grado di gestire il cambiamento.
Lavoro e sapere
Chiudo citando una frase del professor Panattoni: «Bisogna liberarsi dell’idea che l’università è funzionale alla ricerca del lavoro. Dovremmo pensare non più a una Repubblica fondata sul lavoro, ma a una Repubblica fondata sul sapere».
Postilla finale. Condivido la frase del professore, ma – e qui mi rivolgo a chi governa e legifera a Roma – non sia una scusa, questa, per chiudere gli occhi di fronte ai disastrosi welfare e previdenza che, per come stanno le cose oggi, ci attendono fra cinquant’anni. Discutere di giovani e lavoro, oggi, è un imperativo categorico.
A proposito di podcast
Non perdere PodPass, il podcast di Pass Magazine. Dopo l’esordio con l’intervista al noto street artist Cibo, abbiamo parlato di cinema con Alessandro Da Pian del Rivoli e di “lauree deboli” con Nicolò Citton.