FuturoFemminista: STAI ZITTA e altre nove frasi che non vogliamo sentire più
Dopo due anni dalle ultime pubblicazioni (Noi siamo tempesta e Morgana) Michela Murgia torna con “STAI ZITTA e altre nove frasi che non vogliamo sentire più”. Un pamphlet per il quale non servono lettori esperti, ma persone pronte a mettersi in discussione.
Proprio il fatto che si sia riusciti a scrivere un libro di 112 pagine quasi esclusivamente sul linguaggio sessista, con solo pochi accenni a fatti di cronaca caldi, dovrebbe far riflettere su quanto il patriarcato sia intrinseco alla nostra società e di quanto sia difficile riconoscere i pensieri deformati.
Il testo in questione, difatti, ci pone di fronte alle frasi o discorsi che sostengono implicitamente la cultura sessista e dello stupro, e non vi è da stupirsi se nella lista nera di chi parla contro le donne dovessimo esserci anche noi convinti sostenitori del femminismo. Questo perché la lingua è una delle abitudini più lente e restie al cambiamento. Le motivazioni sono in parte intrinseche al fenomeno ma dipendono soprattutto dalla sua sottovalutazione, in concomitanza con la svalutazione di tutto il campo umanistico (dramma dei nostri tempi). Esempio lampante sono le affermazioni di Pio e Amedeo a Felicissima sera, secondo cui “Non sono le parole, ma le intenzioni” a fare le cattive azioni.
Come potremmo dedurre il concetto base su cui si sviluppa il libro è la corrispondenza fra lessico e realtà, per cui “il modo in cui nominiamo la realtà è anche quello in cui finiamo di abitarla”. Da qui scaturisce un particolare rapporto causa-effetto, in cui questioni concretamente misurabili (violenza fisica, discriminazione professionale, divario di carico mentale e domestico) sono conseguenza del linguaggio e dell’etica. Infatti è proprio quest’ultima che “si occupa del comportamento umano in relazione ai concetti di bene e male” cioè “scegliere di trattare le cose nominate così come le abbiamo nominate”. Argomento di molto interesse per le donne, che con queste ‘frasette’ ritenute innocue, vengono continuamente poste su un piano di inferiorità rispetto all’interlocutore uomo e oggettivate in quanto donne.
I metodi di discriminazione sono poi svariati: possono passare attraverso l’animalizzazione fino al non riconoscimento della donna come essere pensante, che ha come contraltare il continuare a definirla solo da un punto di vista relazionale (dunque come moglie, mamma, zia, ecc…). Sempre parlando di tecniche, estremamente interessanti sono quelle riportate nel capitolo sei, dove Murgia (eh sì cominciamo a togliere l’articolo davanti ai nomi femminili!) si sofferma a elencare e spiegare come il patriarcato riesca a mettere le donne le une contro le altre, così fomentando l’idea che loro stesse siano il loro peggior nemico.
In conclusione la scrittrice è riuscita ancora una volta nel suo intento, anche se devo ammettere che ho l’impressione che manchi qualcosa a questo libro. Avevo provato la stessa sensazione leggendo “L’ho uccisa perché l’amavo. FALSO!”. Forse è qualcosa che dobbiamo aggiungere noi lettori, agendo.