Sintomi di felicità pubblica: La ricerca fa primavera!
La conoscenza libera il futuro del paese
Nel tardo pomeriggio di lunedì 21 marzo al Palazzo della Gran Guardia di Verona, si è tenuto il convegno “La ricerca fa primavera!“, in merito alla situazione universitaria italiana. L’intento del convegno, tenutosi lo stesso giorno in ogni università italiana, era quello di aprire un vero e proprio dibattito pubblico con lo scopo di riaffermare il ruolo strategico della ricerca e dell’alta formazione per il futuro del Paese. Questo dibattito aveva poi, assieme agli altri in tutta Italia, lo scopo ultimo e ben più prezioso di raccogliere idee e proposte da inserire in un documento di sintesi unitario da inviare direttamente al Governo.
Il convegno era suddiviso in due momenti successivi e distinti: il secondo step si è concentrato sull’intervento tenuto da Massimo Delladonna, docente di Genetica dell’Ateneo scaligero, il quale ha parlato di “GENI” nella ricerca a partire dalla particolare lettura del suo personale DNA.
La prima e fondamentale parte dell’incontro ha messo in mostra moltissimi dati statistici sulla situazione accademica italiana. Si è inizialmente sottolineata l’arretratezza della ricerca italiana e la sua divulgazione. Tale arretratezza deriva principalmente dalla scarsa attenzione ai risultati dell’attività di ricerca: non immediati, ma visibili e utili per il futuro.
Si deve comprendere chiaramente che esistono chiari benefici per la collettività derivanti dall’istruzione, anche su più piani:
- Dimensione economica: si realizza una vera e propria scalata sociale, ogni anno in più di scolarità aumenta la produttività in quanto a competenze specifiche;
- Dimensione sociale: permette di attivare una pressione sociale di mobilità più elevata, in quanto le persone meritevoli, anche se prive di mezzi, potrebbero finalmente avere la possibilità di proseguire gli studi.
A livello OCSE, l’Italia si trova all’ottavo posto per qualità di produzione scientifica: gli studenti che escono dalle università italiane sono preparati e la formazione universitaria è ad alti livelli. Tuttavia i dislivelli in altri ambiti sono forti e critici: mancano soldi alle infrastrutture universitarie, i ricercatori e i docenti sono diminuiti a causa della legge Gelmini 240 del 2010, il numero di laureati è in continua riduzione e mancano gli stimoli a causa della pessima situazione che si presenta agli occhi dei giovani italiani. Per finire la retribuzione non è assolutamente competitiva e per questo si verifica la fuga dei cervelli.
La qualità del nostro sistema è quindi elevata e gli studenti sono preparati, tuttavia ciò che manca già a partire dal 2001 è un saldo investimento da parte del Governo. Durante la crisi, tutti gli altri Paesi hanno continuato a incentivare la ricerca di base, benché sia quella più incerta, perché non si conoscono in anticipo i tempi con i quali si ottengono risultati significativi. Altrove si è percepita l’importanza di produzione di ricchezze che si possono ottenere con un sempre più elevato livello e perfezionamento degli studi.
Quello che ci si propone a partire da queste iniziative è di puntare molto di più sul piano economico a favore delle università e dei giovani, sia inserendo dei veri e propri percorsi professionalizzanti, sia attivando una maggiore sensibilizzazione dal basso. La qualità in Italia non manca, ma il diritto allo studio non è più garantito, mentre negli altri Paesi se ne riconosce l’importanza soprattutto in funzione del progresso futuro della collettività.
Irene Monge