Referendum sull’autonomia: una guida per un voto consapevole
Alcune note e un commento sul referendum di domenica 22 ottobre
La sentenza 118/2015 della Corte Costituzionale ha permesso al Consiglio regionale del Veneto di indire un referendum di natura consultiva, che si tiene domenica 22 ottobre dalle ore 7 alle 23, al fine di poter attribuire maggior autonomia alla Regione stessa. Lo stesso giorno hanno la facoltà di esprimersi anche i cittadini della Regione Lombardia sul medesimo tema.
A differenza del referendum in Lombardia, in Veneto è previsto un quorum del 50%+1. Gli elettori possono votare recandosi al proprio seggio tradizionale; una volta espresso il voto, non verrà apposto il tradizionale timbro sulla tessera elettorale (che quindi non è necessaria, basta presentare un documento di identità), ma verrà rilasciata una dettagliata ricevuta che attesterà l’avvenuta espressione di voto. A causa della natura consultiva del referendum non sarà possibile votare all’estero.
Il quesito referendario in Veneto è il seguente:
Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?
Il concetto di autonomia esplicitato all’interno del testo è ben distinto dal concetto di indipendenza: il referendum è svolto in un’ottica nazionale, non allude ad una secessione. Pertanto, non è opportuno paragonare il referendum lombardo e veneto a quello recente in Catalogna, in quanto si discostano in termini di oggetto e sostanza.
Il senso del voto del referendum in Lombardia e Veneto trova realizzazione nell’art. 116 della Costituzione, modificato dalla riforma costituzionale del 2001, e precisamente nel terzo comma, che avrebbe dovuto dar vita al cosiddetto “regionalismo differenziato”:
Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia – recita il terzo comma dell’art. 116 – […] possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali […]. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata.
Le materie che potrebbero essere oggetto d’intesa tra Stato e Regione sono quelle elencate al terzo comma dell’art.117 della Costituzione.
Il referendum non è un passaggio obbligatorio previsto dalla Costituzione, tuttavia è stato indetto dalle Regioni Lombardia e Veneto per poter aumentare il potere contrattuale con lo Stato centrale.
In occasione del referendum lombardo e veneto, inoltre, è tornato in primo piano il concetto di residuo fiscale, ovvero la differenza tra il contributo che ciascun individuo fornisce al finanziamento dell’azione pubblica e i benefici che ne riceve sotto forma di servizi pubblici.
Si tratta, in sostanza, di un indicatore in grado di valutare l’adeguatezza dell’azione redistributiva dell’operatore pubblico.
Di seguito viene presentato l’aggiornamento al 2015 della stima del residuo fiscale delle diverse regioni italiane:
Occorre tener presente che per il calcolo di stima del residuo fiscale vi sono vari metodi e tipologie, in quanto si deve ricorrere ad accorgimenti per la valutazione delle spese sul territorio. La spesa per la difesa, ad esempio, è concentrata in determinati confini dello Stato, ma va spalmata su tutto il livello nazionale secondo criteri ben specifici.
Dalla tabella sopra riportata traspare il significativo divario tra Nord e Sud Italia: sono evidenti i flussi redistributivi di risorse dalle regioni settentrionali verso il Mezzogiorno. Tale divario è spiegato soprattutto da redditi molto alti al Nord e da assenza di politiche di sviluppo economico al Sud.
Inoltre, nonostante i livelli di spesa siano pressoché uniformi su tutto il territorio nazionale, la qualità dei servizi erogati in Regioni del Centro-Nord Italia è nettamente superiore a quelle del Sud. Ad esempio, la sanità del Veneto, della Lombardia, della Toscana e dell’Emilia sono ai vertici della classifica stilata dall’Ocse relativamente al rapporto tra qualità e prezzo. Un ulteriore esempio: il Veneto in termini di Pil nazionale è in grado di attrarre nel settore del turismo tanto quanto le regioni meridionali nel loro insieme.
Ma ecco altri dati: da una parte, secondo uno studio della Cgia di Mestre, si legge che “il Nord Italia dà in solidarietà al Paese 100 miliardi all’anno”, dall’altra è noto che la Sicilia non ha riscosso negli ultimi dieci anni oltre 52 miliardi di imposte.
Il fatto di non premiare le Regioni più virtuose e non penalizzare le più inefficienti conferma che vi è uno Stato troppo invasivo al Nord e quasi assente al Sud. Un pervasivo centralismo, cioè, che blocca lo sviluppo economico laddove sia potenziabile e che non permette un massiccio intervento legislativo nelle situazioni più sciatte.
Come l’Emilia Romagna ha avviato le trattative col Governo senza alcuna consultazione popolare, parimenti in passato altre quattro Regioni hanno chiesto maggiori competenze secondo le disposizioni dell’art. 116: nel 2003 la Toscana, nel 2007 la Lombardia e il Veneto, nel 2008 il Piemonte. Nessuna di queste quattro richieste è andata a buon fine.
Nonostante non ci siano certezze sul procedimento legislativo e amministrativo dopo il voto di domenica, il risultato del referendum lombardo e veneto, se vinto e ben partecipato, ha la potenzialità di creare una efficace dialettica tra centralismo e regionalismo, aprire un dibattito sulla valorizzazione delle realtà regionali e sulla riduzione del pesante divario tra Nord e Sud, a vantaggio del Pil nazionale.
La riduzione della concentrazione del potere riduce le possibilità di sfruttamento fiscale da parte della burocrazia, in una visione del settore pubblico come Leviatano.
(Brennan e Buchanan, 1980)
Gianmaria Busatta