Quei manifesti che non cambiarono niente (o forse tutto)

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A gennaio nelle sale “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”, presentato al Festival del Cinema di Venezia 74

Articolo comparso nella sezione “Cultura” del nº 47 di Pass Magazine

di Beatrice Castioni

I tre manifesti rosso fuoco apposti fuori alla cittadina di Ebbing si stagliano enormi e cangianti in un paesaggio brullo composto solo da sterpi e una strada asfaltata. Dicono: “Violentata mentre stava morendo. Ancora nessun arresto? Com’è possibile, sceriffo Willoughby?”. Questa è la domanda che Mildred Hayes, madre di una ragazzina rapita ed uccisa, pone al capo della polizia Bill Willoughby. L’assassino non è ancora stato trovato e le ricerche sembrano essere sospese dopo mesi di insuccessi. I tre cartelloni sono stati voluti e pagati proprio da Mildred, perché “Più tieni un caso sotto i riflettori, più hai la possibilità di risolverlo”.

La storia è usuale e spesso raccontata in ambito cinematografico (una ragazza è stata stuprata e uccisa e la madre vuole trovare il colpevole), ma inusuale per il modo in cui è raccontata. Il film, infatti, si apre quando sono passati già alcuni mesi dall’omicidio e al centro della scena vediamo la madre ancora addolorata, ma soprattutto furiosa. La trama procede non tanto con la ricerca forsennata dell’assassino, quanto con la guerra mediatica che Mildred porta avanti. Termina poi in modo ciclico, ovvero senza una soluzione: l’assassinio della giovane Hayes non è risolto. A colpire è il cambiamento di personalità dei tre personaggi principali, Mildred, Bill e Jason (il vicesceriffo). Tutti compiono un percorso interiore fatto di cadute e piccole vittorie, un viaggio di formazione di stampo letterario che ci restituisce degli adulti diversi, cambiati e evoluti, più vicini a quanto non fossero prima alla loro idea di giustizia ed integrità morale. Il racconto di vite comuni e poco straordinarie, ma vere e proprio per questo vicine allo spettatore.

Un tema centrale della pellicola è la violenza, declinata in varie forme, ognuna collegata ad un personaggio. La Hayes è coraggiosa e determinata nel difendere la purezza profanata della figlia: tutta la rabbia che ha dentro esplode in azioni violente e nell’uso di un linguaggio offensivo. Una donna che non ha paura più di nulla, ora che ha perduto una parte di sé, anche pronta ad uccidere. Willoughby, invece, manifesta un tipo di violenza più interiore e celata, solo verso se stesso. Non riesce ad accettare la sua malattia e teme di lasciare nello sconforto i suoi cari, per i quali avrebbe voluto essere ancora in grado di provvedere. La sua immagine pubblica, inoltre, si sta macchiando, proprio ora che è costretto ad uscire di scena. Dixon di contro è un violento fisico, razzista, omofobo e intollerante verso chiunque ostacoli la sua strada. Non si ama, non crede di poter diventare una persona migliore e la mancanza di supporto lo porta ad essere ancora più psicotico e pericoloso.

Questo film ha una trama semplice, ma articolata in modo complesso, se seguiamo le singole vite dei personaggi. Una storia cruda che schiaffeggia lo spettatore e lo fa riflettere.

 

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