«Rincorro il silenzio che la mia generazione non conosce. E le immagini vere»
A 21 anni Letizia di Cagno ha già pubblicato il suo primo libro. In questa intervista ci racconta qual è secondo lei il ruolo della poesia oggi, e di come dobbiamo sempre ricercare l’autenticità dell’arte. Ad ogni costo
di Aurora Galbero
Quando ho deciso di intervistarla lei era nel suo appartamento a Verona, perciò abbiamo optato per una lunga chiacchierata al telefono. Letizia è così: sfuggevole ma estroversa, innamorata del suo mondo fatto di musica e poesia, un tutt’uno con la sua penna e la sua chitarra.
La estrae di tanto in tanto per strimpellare quattro accordi, poi torna a fare altro. E proprio il suo carattere e la sua poliedricità le hanno permesso di raggiungere già un importante traguardo, nonostante la giovane età. “Urla la fine che pianta germogli” è la sua prima opera, una raccolta di diverse poesie raggruppate in quattro sezioni.
Formato piccolo, copertina flessibile, di un bel colore turchese. Lo rigiro tra le mani per un po’, poi lo apro e leggo la primissima pagina. Inizia così, con questa sua frase: «Più di ogni altra cosa sono gli occhi che feriscono l’immagine». Non ci vuole molto per capire quale sia il centro di questa produzione: la verità.
La verità di un sentimento antico e complesso, l’amore, in tutte le sue sfumature, nelle zone di luce e in quelle d’ombra, nella paura e nella felicità. La verità che arriva dal cuore, dalla meditazione, dalla contemplazione di un’arte senza tempo: la poesia.
Col suo fare delicato, col suo accostamento di immagini e suoni, Letizia regala un assaggio della sua esperienza in modo però originale, per permettere ai suoi lettori di riflettere su quelle emozioni che inevitabilmente, presto o tardi, dominano tutti noi.
Letizia, di cosa ti occupi attualmente?
Al momento studio filosofia all’università di Verona e sbarco il lunario scrivendo dei miei fallimenti amorosi (ride).
Di cosa tratta la tua raccolta “Urla la fine che pianta germogli”? Come la riassumeresti, in parole semplici, ai tuoi futuri lettori?
La mia raccolta è un canzoniere, quindi tratta il tema amoroso in versi liberi e nelle sue varie forme: la tensione erotica dell’amicizia, l’amore che si può provare per un genitore, anche se a prevalere è poi l’amore carnale, come anche il lato fallimentare delle relazioni amorose.
Quando hai iniziato a scrivere in versi?
Alle medie, ma il contributo maggiore mi è stato fornito al liceo dalla mia insegnante di italiano del biennio. Mi ha fatto capire quanto fosse importante essere costanti nella scrittura.
Come definiresti il tuo stile nel panorama letterario attuale? Dove trovi l’ispirazione?
Credo che lo stile attuale si possa definire come neo-avanguardismo, ed è giusto parlarne anche perché di recente è venuto a mancare un grande della poesia neoavanguardistica, Nanni Balestrini. Il mio stile di riferimento è la lirica. Penso però che, anziché parlare di stili, sia meglio porre l’accento su degli autori di riferimento.
Come arrivi alla pancia e al cuore di chi ti legge?
Penso che la cosa più importante che un poeta possa fare sia questa: creare un’immagine vera, scritta di getto, nel giro di pochi minuti, che si riveli però comunicativa anche dopo molto tempo. Questo è quello che conta, che una persona leggendo sente e dalla quale viene rapita.
Rimpiangi qualcosa della poesia del passato?
Non rimpiango nulla perché credo che l’arte abbia sempre avuto una storia a sé nonostante il panorama politico o storico, e che i vari stili si abbraccino fra loro. Infatti tutt’oggi grandi voci del passato continuano a vivere a prescindere dal passare degli anni o dai cambiamenti.
Perché hai preferito i versi alla prosa?
Preferisco la poesia perché ne sento il bisogno. La poesia è una sorta di differenziale d’intensità: nel suo dover essere breve concentra molte più emozioni, molta più intuizione. E deve farlo, perché questo è il ruolo della poesia.
Credi che la letteratura sia in crisi oggi?
Oggi in realtà esistono grandi voci giovani. Penso a Mattia Tarantino, autore più giovane di me, che ha già due opere edite. Penso che in crisi sia l’editoria, non tanto la letteratura. È un’epoca difficile in cui anche una poesia viene letta in chiave distorta, dove le opere diventano consumistiche. L’esigenza di vendere c’è sempre stata, quello che fa la differenza credo sia la spettacolarizzazione di certe forme di pensiero che in realtà non sono forme di pensiero, e l’esaltazione di ciò che arte non è.
Cosa credi che manchi alle nuove generazioni?
Io penso che oggi la poesia possa essere davvero d’aiuto, perché la nostra società e i giovani non pensano per immagini. La nostra cultura è analitica, e la poesia offre un’immagine (seppur soggettiva) diretta delle cose. Offre una verità immediata che necessita silenzio e quindi pazienza e voglia di mettersi in ascolto, cose che la mia generazione e le successive non conoscono.
Qual è secondo te il valore di un’immagine oggi, in un mondo in cui siamo sommersi di immagini anche inutili o prive di significato?
Il valore principale è quello della non-strumentalizzazione. Un’immagine può portare verso una persuasione, un fine politico o sociale. La poesia persuade, ma lo fa soltanto per non avere altro fine se non quello di persuadere.
Cosa ti piacerebbe fare “da grande”?
Non so cosa mi aspetto dal mio futuro, ma tutto quello che posso augurarmi è di poter gustare ancora molta poesia e molta arte.
Entri in libreria e vedi un libro nuovo, originale. Di cosa dovrebbe parlare perché tu lo comprassi, o volessi leggerlo? Cosa ricerchi nella letteratura moderna?
Quando entro in libreria leggo la quarta di copertina, annuso le pagine del libro. Queste sono le prime cose che faccio. Io in realtà non sono alla ricerca di un contenuto particolare, ma so che un libro per colpire deve comunicarmi qualcosa. E per farlo serve un’immagine chiara, diretta. Non importa cosa, ma come è scritto.
Mi interessa conoscerla per qualche idea vedere mio profilo e pagina Officine Spaziarte telefono 3404093330 /aldoguerriericircuito@gmail.com