Perché studiare all’università(?)
“Chi me l’ha fatto fare?” è la frase più ripetuta nei bar di Veronetta
Articolo comparso nella sezione “Ateneo” del n°48 di Pass Magazine
di Alessandro Bonfante
Scorri le foto degli influencer su Instagram e ti demoralizzi. Loro stanno a Ibiza a sfoggiare costumi con pance piatte e abbronzate, mentre tu sei in aula studio a preparare l’ennesimo esame, con schiena pallida e gobba sui libri. E dopo la sessione estiva hai giusto il tempo di fare un tuffo in piscina prima di cominciare a pensare a quella di settembre. Poi – ciliegina sulla torta – ti telefona il cugino Peppe dalla spiaggia del tuo paese natale. Lui non ha avuto la scellerata idea di venire a fare l’università a Verona, con la nebbia d’inverno e l’afa d’estate. A lui bastano 5 minuti per raggiungere il mare cristallino e farsi un tuffo. A te ne servono 30 solo per regolare la maledetta manopola della doccia che accidentialpadronedicasa è un mese che gli chiedi di mandarti un idraulico.
L’estate è il momento giusto per chiedersi: “Chi me l’ha fatto fare?”. Perché darsi pena per un pezzo di carta, che sappiamo non essere sufficiente (quantomeno per la maggior parte delle professioni) per entrare nel mondo del lavoro? Ne vale davvero la pena?
Sì. Ne vale la pena. Fosse anche vero che tutti i laureati in Filosofia andranno a lavorare in un fast-food e tutti quelli di Scienze della comunicazione in un call center. Ne vale la pena perché viviamo in un mondo sempre più complesso, in mezzo a dinamiche sociali ed economiche sempre più intricate. La rivoluzione tecnologica ci ha travolti, ci siamo illusi di tenere il mondo in una mano e che i computer ci avrebbero risolto tutti i problemi. Ne vale la pena perché un’educazione e un’istruzione di alto livello ci possono dare gli strumenti per affrontare questa complessità.
Si parla spesso di «analfabetismo funzionale». È importante saper leggere un testo, ma soprattutto capirlo. Ascoltare un discorso e comprendere sfumature, riferimenti e conseguenze di ciò che viene detto. Affrontare le difficoltà e gli scontri in modo razionale e funzionale. Comprendere le proprie emozioni e le reazioni di chi abbiamo di fronte (o dall’altra parte dello schermo). Cos’ha a che fare tutto questo con l’università? Beh, si spera che un corso universitario, se di qualità, educhi alla complessità. Apra la mente. Ispiri. Ci renda persone migliori e più preparate ad affrontare le sfide del mondo di oggi.
E allora va bene avere un po’ di ansia per la sessione incombente e va benissimo sbuffare alla terza volta che ti devi presentare all’appello di Microeconomia, Procedura penale o Anatomia. La prossima volta che dirai “Chi me l’ha fatto fare?”, però, ricordati che oltre alle nozioni tecniche rivolte al futuro professionale, gli anni dell’università ti stanno formando anche per la vita.
Buono studio dalla redazione di Pass Magazine.
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Immagini di copertina e nel testo da Pexels.com.