Parità dei sessi in ambito lavorativo? Università e scuole di tutti gli ordini bocciate
Proprio la scuola e l’università, fulcro della crescita di ogni individuo, sono i primi luoghi ad essere impregnati di ingiustizie. Martedì 12 ottobre Cineca con le sue pubblicazioni ci ha ricordato quanto la strada per raggiungere la parità dei sessi in ambito lavorativo sia lunga.
I dati raccolti in questo caso sono percentuali riferite al genere del corpo docenti universitario con specifica delle aree disciplinari d’occupazione.
Analizzandoli balza all’occhio il primato maschile nelle materie scientifiche e matematiche, ma non solo: i docenti uomini rappresentano la maggioranza in 12 dei 14 settori disciplinari. Per le docenti donna invece l’unico barlume di speranza è rappresentato dai settori di scienze biologiche e scienze dell’antichità, filologiche-letterarie e storico artistiche, dove si registra una percentuale di presenze rosa di poco oltre la metà (rispettivamente il 54,2% e 54,5%).
Ma le difficoltà per il personale femminile non sono finite, difatti, oltre a vedersi in minoranza nella maggior parte delle aree disciplinari, la loro concentrazione diminuisce all’aumentare del prestigio del ruolo rivestito: possiamo osservare come la presenza femminile in relazione al prestigio della carica rappresenti un limitato 25,7% fra i professori ordinari, un 40,9% fra i professori associati ed infine un abbastanza modesto 46,0% fra i ricercatori, mentre nella voce professori straordinari e incaricati e assistenti torna a un misero 21,8%.
La domanda che sorge più spontanea è quali siano le prospettive future per le donne che decideranno di perseguire la carriera accademica, soprattutto a fronte dei dati Istat che segnalano il 22,4% delle donne laureate contro il 16,8% degli uomini. Un paradosso che permetterà finalmente alle donne di emergere?
Però, come spesso si tende a dimenticare, le difficoltà non sono solo per la popolazione femminile. Un identico discorso si potrebbe fare per i colleghi uomini nelle scuole di ordine inferiore, dove sono altrettanto discriminati. La situazione risulta particolarmente grave nella scuola materna e primaria e i numeri ne danno conferma: la presenza maschile è minore del 4%. Anche qui subentrano fattori sociali, che li vedono come lavoratori di serie B, ma che soprattutto gli incollano addosso lo stigma del maschio alfa che non dovrebbe avere a che fare con i più piccoli.
Lo squilibrio di genere fra i lavoratori della scuola così diventa un cane che si morde la coda: la stessa concentrazione così bassa di uomini nel personale scolastico non è certo contrastata dall’attuale mancanza di figure di riferimento maschili per gli alunni. Perciò i ragazzi, come spiega Barbara Mapelli (docente di pedagogia delle differenze all’Università Bicocca di Milano) al Fatto quotidiano, svilupperebbero un’avversione verso gli ambienti scolastici in quanto ormai per la maggior parte femminilizzati.
Questo fenomeno ha avuto inizio dagli anni 60 e non sembra volersi arrestare, a causa di un evidente stereotipo di genere che vede il lavoro di insegnante dei gradi inferiori come poco prestigioso e legato all’ambito della cura, dunque adatto ad essere gestito da una donna.
Lo scenario complessivo è quello di un ordinamento scolastico ancora distante dal concetto di parità dei sessi e che soprattutto continua ad autoalimentare i pregiudizi. Per l’università si stanno facendo dei grandi passi da gigante: basti pensare che la percentuale di ricercatrici donne nel 2014 era pari al 35% del totale, mentre lo scorso anno ha raggiunto il 46%. Molto più tortuosa si prospetta invece l’ascesa per gli uomini nelle scuole di grado inferiore. Non dovremmo scordarci di chi vuole rivendicare un’immagine di uomo più differenziata.