Sotto la punta dell’iceberg
La recensione di Panama Papers, presentato a Venezia 76, sullo scandalo di frodi assicurative americane esploso nel 2016
di Beatrice Castioni
Ellen Martin si trova in viaggio con il marito ed è entusiasta di festeggiare il suo quarantesimo anniversario di matrimonio. Prenota una gita in barca con una coppia di amici e succede l’inaspettato. La barca si capovolge e tutti i passeggeri vengono sommersi dall’acqua. Chi riesce a nuotare e a sfuggire dalle costrizioni del veicolo si salva. Gli altri invece (21 partecipanti) incontrano una tragica morte da annegamento. Ellen, distrutta dal dolore, si rivolge alla compagnia assicurativa delle barche a noleggio, ma nessuno sembra riuscire ad aiutarla e a rintracciare i responsabili che rimborsino i danni. O che soprattutto, si dimostrino solidali nei confronti delle famiglie delle vittime.
Decide quindi di partire alla volta di Nives, con un indirizzo in mano e la determinazione di avere giustizia. Anche se lo stato americano sembra non prendere nemmeno in considerazione il problema, la vedova scopre che la polizza dei barcaioli era a nome di una compagnia assicurativa inesistente. Non per volontà dei proprietari, ma per l’azienda alla base delle assicurazioni. La quale non è mai stata davvero operativa, se non per riscuotere il denaro dei malcapitati investitori.
Ellen e la compagnia noleggio si trovano truffati, così come decine di altri clienti. Tutti danneggiati dallo stesso gruppo di individui, che tramite frodi ben congegnate sono riusciti ad agganciare diversi interessati, che adesso si trovano sul lastrico. Nel cast troviamo Meryl Streep, Gary Oldman, Antonio Banderas e Sharon Stone e il film si vedrà su Netflix dal 18 ottobre. È stato in competizione al Festival del Cinema di Venezia 76 come miglior film.
La storia racconta dell’inchiesta giornalistica del Consorzio Internazionale dei reporter investigativi (2016), finita tra le mani del giornale tedesco Süddeutsche Zeitung. Il materiale in loro possesso è un elenco dettagliato di documenti dal 1977, testimoni dell’esistenza di numerosissime società offshore che si sono rivolte allo studio legale panamense Mossack Fonseca per evadere le tasse o di realtà più piccole che credevano di aver concluso un affare risparmiando rispetto ad altri tipi di servizi.
Il denaro racimolato dagli investitori è stato ripulito e poi inserito nuovamente sul mercato: uno scandalo finanziario di proporzioni enormi che ha interessato il mondo dell’economia e della politica di circa 200 nazioni. Ha colpito leader governativi, tycoon potenti e personaggi famosi. L’illegalità dello studio Mossack Fonseca stava non nel costudire patrimoni all’estero in banche agevolate, ma nel nascondere le somme di denaro per non pagare le tasse nel paese di appartenenza. Riciclando poi all’estero i ricavi. Ne è seguito un libro che spiegasse le vicende, anche se si dice che ancora molto esuli dalla conoscenza e debba essere smascherato.
Panama papers parte con il racconto di una vicenda familiare, quella di Ellen e del marito rimasto ucciso, per poi ampliarsi ad un caso internazionale che ha scosso le sfere politiche e finanziarie. Dal particolare al generale, due vicende che apparentemente appaiono slegate troveranno invece lo svelamento della frode. Da parte di una donna qualunque, Ellen, determinata a scoprire dove sia finito il suo patrimonio e perché non avvenga un rimborso. Finendo sulle tracce di due sapienti avvocati, Mossack e Fonseca, e comincerà a comprendere come funzioni la giustizia americana.
Ellen non è solo una vedova, ma rappresenta tutti i cittadini, che meritano di conoscere le mire dei potenti e di difendere i propri interessi. Economici e morali. Con Panama papers Steven Soderbergh sembra volerci presentare i fatti come sono andati, spiegarci come si sono sviluppati e lasciarci infine un invito a non accettare la facciata delle cose, ma a scavare a fondo. A lottare per un paese migliore; a rendersi conto di quanto un sistema statale possa essere marcio e corrotto fino all’osso, coinvolgendo il mondo intero.
Un invito a riflettere che non si rivolge solo agli americani, ma si estende a chiunque, dal momento che questo tipo di frodi e corruzioni è una triste quotidianità, in forme e contesti differenti. Il regista è in grado di fare tutto questo caricandoci in sella ad un cavallo pazzo, che prosegue di corsa verso la strada prefissata (lo svolgimento di una trama chiara e coerente) ma che si abbandona ad ironie, frecciatine ed esercizi stilistici lungo il percorso. Panama papers è un film dal ritmo concitato e dinamico; mai un tempo morto o scene che interrompano la trama.
Ogni elemento è utile alla comprensione delle vicende. La struttura di suddivisione in capitoli, colorati e dal titolo esplicativo, permette allo spettatore di non farsi travolgere dalla complessità della storia vera e dai dettagli economici. Ci troviamo di fronte alla costruzione di un prodotto denso di significato ma “che respira” e diventa alla portata di tutti. È interessante anche la rottura della quarta parete fin dalle prime scene, mediante il dialogo degli attori con chi guarda; i quali escono talvolta dal loro ruolo e si mostrano per gli attori che sono.
Troviamo anche lo svelamento degli artifici cinematografici, grazie all’inquadratura del green screen e dei dietro che le quinte che sono poi impiegati per i set del film. Non solo vengono destrutturati il sistema cinematografico e attoriale, ma anche quello economico che riguarda l’America in particolare ma le nazioni moderne in generale. La trama dell’ultima fatica di Soderbgergh è presente, ma nasconde i temi attuali della corruzione e dell’illegalità. Mascherati da un’atmosfera goliardica e da una sapiente abilità recitativa.
Brava Beatrice Bastioni, mi piace molto l’analisi di questo film, che mi è sembrato molto interessante, drammatico e ironico al tempo stesso.
Grazie mille! Credo sia un film a cui dare un’opportunità!