Fly me to the moon: 50 anni dopo, la missione si ripete
Il 20 luglio 1969 Neil Armstrong e Buzz Aldrin atterravano per la prima volta sulla superficie lunare. Oggi l’astronauta italiano Luca Parmitano ripartirà per una nuova missione
di Gianmaria Busatta
Sono passati cinquant’anni dalla prima visita dell’uomo sulla Luna, alla quale sono stati dedicati canzoni, poesie, speranze e desideri persino. Anche al cinema il nostro satellite è un tema che affascina: un anno fa, al Festival del Cinema veneziano, è stato presentato First Man di Damien Chazelle.
Basato sulla biografia ufficiale First Man: The Life of Neil A. Armstrong, la pellicola di Chazelle non è solo un resoconto corretto della corsa allo spazio degli anni Sessanta, ma anche un racconto intimo delle vicende personali dell’ingegnere aeronautico Neil Armstrong.
In seguito alla terribile perdita della figlia l’aviatore americano entra nella NASA nel 1962, e da lì inizia un percorso arduo e denso di rischi, pericoli e fallimenti alla conquista dello spazio.
Dopo il successo di La La Land Chazelle torna dietro alla macchina da presa e confeziona un film alquanto tecnico e metaforico allo stesso tempo. Il risultato è un insieme eterogeneo di generi cinematografici, in grado di far breccia nel cuore dello spettatore nei momenti più drammatici, suscitare interesse e curiosità nei tratti più (fanta)scientifici e coinvolgere nelle sequenze cariche di tensione.
First Man è un film tecnico e convenzionale, privo di quei guizzi artistici di cui era ricco La La Land. La grammatica cinematografica non pretende di essere ricercata: complice una sceneggiatura impeccabile, il regista preferisce concentrarsi sul raccontare la storia (sulla Terra) di Armstrong, non sul come raccontarla.
In First Man non vengono narrati un sogno o una passione, né un’ambizione (come in Whiplash). Si lascia maggior spazio al dolore, alla sofferenza, alla complessità dei costi necessari per raggiungere uno scopo. L’orizzonte di cielo che separa l’uomo dalla Luna nel film è metafora della distanza dai nostri obiettivi. Una distanza che si accorcia con il duro lavoro, i sacrifici, i fallimenti.
Non manca uno dei temi più ricorrenti del cinema di Chazelle, cioè l’ossessione per la perfezione, l’eccellenza. Ciò che si concretizza nel racconto dell’umanità dei “folli e dei sognatori”.
Novità interessante in quest’ultima opera di Chazelle è il non protagonismo della musica. La colonna sonora è affidata nuovamente a Justin Hurwitz: le melodie e le note delicate sono bellissime e toccanti, ma sempre in sottofondo (eccetto che nelle sequenze finali). Possiede, infatti, più peso l’aspetto sonoro: la meccanica delle navicelle spaziali, il respiro degli astronauti, il silenzio dello spazio sono la vera colonna sonora del film, il tutto enfatizzato da innumerevoli primi e primissimi piani.
Ottime le interpretazioni dei protagonisti Ryan Gosling (Armstrong) e Claire Foy (Janet, la moglie), ma è soprattutto quest’ultima che reca al film una maggior intensità espressiva ed emotiva.
In occasione dei cinquant’anni del primo allunaggio, First Man è un film assolutamente da recuperare. Per quanto possa essere piccolo il passo dell’uomo, o per quanto possa essere il grande passo dell’umanità, dietro alla cronaca di un successo non ci sono solo storie, incontri, sofferenze, fallimenti, vittorie. Ma anche legami personali che nascono, s’intrecciano, muoiono, si rafforzano.
Qui la nostra ultima recensione.