Mona Lisa Smile: la lotta contro il patriarcato
Durante il mese dedicato alla donna, noi di Pass abbiamo deciso di raccontare la storia di diverse eroine che con la loro forza e intelligenza sono una fonte di ispirazione. Nella rubrica culturale di oggi vi consigliamo quindi la storia di Katherine Ann Watson nel film “Mona Lisa Smile”: la vicenda di una giovane professoressa che negli anni Cinquanta ha saputo ispirare le sue giovani studentesse, spronandole ad aprire la mente e a decidere per loro stesse senza lasciarsi condizionare dal giudizio della società dell’epoca.
La protagonista di questa settimana è Katherine Ann Watson, una giovane professoressa di storia dell’arte che si ritrova a lottare contro la società patriarcale e bigotta degli anni Cinquanta. La trama è ambientata a Wellesley, un college privato femminile dove le studentesse vengono istruite in attesa di trovare marito e vivere il resto delle propria vita da mogli, madri e casalinghe impeccabili. Tra le materie insegnate non può quindi mancare il corso di economia domestica e buone maniere per plasmare la moglie perfetta. Non tutte le ragazze però prendono sul serio quel corso, dimenticando che non è il voto dell’esame finale a contare realmente, bensì quello che il loro futuro marito darà a loro come mogli. Ecco quindi che appare fin da subito chiaro come la donna, all’epoca, dovesse essere istruita per soddisfare le richieste e i bisogni del proprio compagno accantonando così le proprie aspirazioni.
Ma Katherine è diversa dai professori che insegnano in quel college. É giovane, bella, molto intelligente con la sua laurea, ma non è sposata e questo suscita molta curiosità agli occhi delle studentesse. Lei ha una visione molto più progressista e non crede nel matrimonio come ambizione massima nella vita di una donna, ma soltanto come una delle tante tappe a cui ambire. Ideologie che stridono dentro le mura di Wellesley e che quindi la ostacoleranno nel farsi accettare. Attraverso l’insegnamento spiccano da subito i suoi metodi poco convenzionali, invitando le ragazze a sviluppare la capacità di analizzare criticamente le opere proposte. Questo nuovo approccio all’insegnamento della storia dell’arte però non viene accolto da subito in maniera favorevole e ben presto la direttrice dell’istituto la esorterà ad attenersi ai metodi più tradizionali.
Katherine si ritrova quindi a fare un passo indietro per osservare da più lontano quello che Wellesley rappresenta veramente: una sala d’aspetto per signorine “per bene” in attesa di un marito. Niente di più deludente per lei che, con la sua materia, sperava di far aprire gli occhi alle giovani sull’importanza di studiare per essere libere di vivere lontano dai dettami della società e pretendere molto di più del matrimonio e di una bella casa. Ma Betty Warren, una studentessa conservatrice quanto la sua famiglia, non ci sta, e inizia così la sua battaglia personale contro la professoressa screditandola in più occasioni. Betty infatti è prossima al matrimonio e fin da piccola è la sola cosa che ha sempre sognato. Le altre ragazze però, fortunatamente, non la pensano allo stesso modo e vedono in Katherine una donna forte e moderna da prendere come esempio.
Tra loro spicca Joan Brandwyn, migliore amica di Betty con il sogno nel cassetto di diventare un avvocato. Un obbiettivo però irrealizzabile in quanto pure lei prossima al matrimonio e quindi rassegnata a fare quello che tutti si aspettano che faccia: la moglie perfetta. Inizialmente per lei questo non è un peso, ma quando Katherine le spiega che il matrimonio non esclude la realizzazione professionale, inizia a valutare un po’ per gioco di iscriversi realmente alla facoltà di giurisprudenza di Yale. Aiutata dalla Watson che le procura i moduli della domanda di iscrizione, decide di inviarli e, temendo giudizi negativi da parte delle sue compagne di corso, decide di non proferire parola con nessuno, almeno finché non scopre di essere stata accettata.
Quando Betty viene a sapere che la sua amica le ha tenuto nascosto i suoi progetti per Yale e soprattutto il ruolo che ha avuto la professoressa in tutto ciò, invece di sostenerla come solo un’amica saprebbe fare, ci rimane male. Così, accecata dall’invidia e il rimpianto di aver fatto una scelta di vita affrettata sposandosi con un uomo che non la rispetta, decide di “denunciare” pubblicamente la professoressa Watson. Scrive quindi un articolo sul giornale ufficiale di Wellesley, accusando Katherine e i suoi insegnamenti sovversivi di “incoraggiare a un respingimento dei ruoli per le quali le ragazze sono nate”.
Questo sarà per Katherine la goccia che farà traboccare il vaso, giudicando per la prima volta fallimentari i suoi insegnamenti. Presto però le ragazze si troveranno costrette a riflettere sulle parole della professoressa, aprendo gli occhi su quello che la società le aveva inculcato fino a quel momento. Iniziano così a valutare nuove strade e nuove possibilità di vita, comprendendo le parole della Watson e il loro reale valore come donne.
Nonostante il film non sia tratto da una storia vera, ci mostra uno spaccato abbastanza fedele di una società patriarcale ancora molto legata alle tradizioni e alle apparenze. L’unica aspirazione della donna era sposarsi, avere una bella casa e fare figli. Questa è la tacita regola che da sempre viene tramandata di famiglia in famiglia, diventando una normalità dalla quale è difficile ribellarsi senza suscitare scandalo e pettegolezzi. Ecco perché l’arrivo della professoressa Katherine Watson in una delle scuole più conservatrici del territorio crea scompiglio. La sua tenacia nell’anteporre la carriera personale alla vita matrimoniale scaturisce forti dissensi non solo nel corpo docenti.
La pellicola inoltre tocca il tema del divorzio negli Stati Uniti degli anni Cinquanta, periodo in cui i primi casi documentati sono rari, soprattutto in una società in cui se il marito tradisce la colpa è da imputare alla moglie poiché incapace di tenersi stretta il suo uomo. Ecco quindi che, piuttosto di apparire “inadatte al ruolo di mogli”, si decide di chiudere più di un occhio e di accettare un matrimonio basato sulle menzogne e l’infelicità, salvaguardando l’unica cosa che conta: l’apparenza. Un destino che Betty non riesce ad accettare e che per questo la porterà a scontrarsi con una madre troppo ossessionata dal giudizio altrui, a discapito della felicità della figlia.
Katheriene Watson però non è una sprovveduta e arriva a Wellesley conscia del tipo di educazione che da sempre viene impartita alle ragazze che studiano lì. I suoi insegnamenti non vengono visti di buon occhio dalla direttrice e dagli altri insegnati, che preferirebbero un programma didattico incentrato sui grandi artisti della tradizione. Lei invece porta nelle sue lezioni esempi anticonvenzionali per quelle mura, come Jackson Pollock o Vincent Van Gogh, chiedendo alle studentesse di imparare a osservare le opere, analizzandone gli elementi in maniera soggettiva, senza ripetere a memoria quanto scritto o detto da altri critici più affermati. Lo scopo di Katherine è quello di far sviluppare alle ragazze la capacità di analizzare criticamente prima i dipinti da lei proposti e successivamente i fatti della vita di cui sono protagoniste. In questa maniera guida le studentesse a considerare diverse opzioni per sé stesse, come ad esempio proseguire gli studi e lavorare, cosa inconcepibile per delle giovani donne in età da matrimonio negli anni Cinquanta. Katherine cerca durante tutto l’anno accademico di illuminare le sue allieve su come uomini e donne dovrebbero poter avere gli stessi diritti, potendo scegliere sia il matrimonio che la carriera. E questo, prima che arrivasse la professoressa Watson, le giovani studentesse di Wellesley non lo avevano considerato.