Minuto per minuto
Cari lettori di Pass Magazine, questo è il mio primo articolo da direttrice. Non nascondo l’ansia e l’emozione nello scrivere queste parole. Non voglio indugiare su inutili presentazioni, ormai basta guardare il profilo Instagram di qualcuno e capire già qualcosa su di lui. Inoltre, preferisco che siano i miei pensieri e le mie parole a presentarmi, perciò spero che le riflessioni che vi proporrò negli articoli incontreranno il vostro consenso e laddove non ci fosse, spero che almeno possano essere uno spunto di riflessione.
Nell’epoca delle connessioni digitali è tutto sempre più veloce, più futile e momentaneo, destinato a nascere e morire presto. È per questo che a volte si ha la percezione di vivere su una linea del tempo, trasportati da una forza che continua a proiettarci avanti o indietro, ma che difficilmente si ferma sul momento presente. A volte, citando Verga, si ha davvero la percezione di essere travolti dalla “fiumana del progresso”, una forza inarrestabile che stravolge le vite dei “Vinti”. Nonostante il pensiero verghiano si soffermi a analizzare aspetti diversi e negativi di questo processo, credo che l’espressione “fiumana del progresso” esprima come ci sentiamo realmente oggi.
Essere giovani nel 2023 è una grande responsabilità: significa avere sulle spalle anni e anni di storia dolorosa, ma anche ricca, povera e allo stesso tempo fiorente, semplice ma complessa. Ma dall’altro lato vuol dire avere a disposizione mezzi nuovi, all’avanguardia, che a volte più che essere nostri complici nelle soluzioni, sembrano essere nostri nemici. E quindi come porsi di fronte a questo patrimonio? Essere giovani nel 2023 significa sentirsi spesso inadeguati nei confronti del passato e del futuro.
La trappola del passato
Paradossalmente in una società che corre così tanto, a volte si rischia di rimanere impigliati nei ricordi. Il desiderio di tornare indietro nel tempo, di fare scelte diverse è sempre esistito ed è assolutamente naturale nell’essere umano. Il nostro passato inevitabilmente ci segna e ci cambia, perché è qualcosa che fa parte della nostra storia e ha un suo ruolo, con confini che devono essere ben definiti.
Quando ci si ritrova immersi in un contesto in cui passato diventa tutto ciò che è capitato pochi minuti prima, è difficile distinguere ciò che è realmente finito da ciò che non lo è, soprattutto se non ci si ferma mai. Per rendere questo concetto più chiaro, proverò a spiegarmi avvalendomi di una metafora. Immaginate di partecipare a una gara di corsa in cui il tempo di inizio è definito dal via e quello di fine dalla linea del traguardo. Logicamente, prima di iniziare vi sarete preparati per la corsa e per evitare false partenze, vi fermerete per un istante aspettando il via. Lo stesso avverrà dopo aver oltrepassato la linea del traguardo, quando stanchi di correre, sentirete il bisogno di fermarvi.
Ecco, vivere nel 2023 ha il sapore di partecipare a una gara senza fermarsi mai: né prima dell’inizio, né dopo la fine. E quindi come si distingue ciò che è passato, da ciò che è ancora presente? Fermandosi per un momento.
Ciò che differenzia ciò che è passato da ciò che non lo è, dipende dalla nostra percezione del tempo. A volte ci sembra che alcune situazioni ormai terminate, ci riguardino ancora perché magari la nostra mente tende a riportarci indietro nel tempo. Non possiamo controllare i nostri pensieri, ma possiamo cambiare l’influenza che hanno su di noi. Se mentalmente rimaniamo fermi a due, tre, cinque, dieci anni fa, non significa che siamo rimasti davvero indietro nel tempo, ma a volte ci sembra proprio di vivere così e ci sentiamo frustrati.
Quando vedi tutti gli altri correre per studiare, laurearsi, sposarsi, avere successo, automaticamente i pensieri sul passato vengono avvertiti come una minaccia, perché non c’è tempo, perché non ci si può fermare, perché non si può rimanere indietro. È proprio questa paura che ci “blocca” e ci fa rimanere ancorati al passato: siamo talmente terrorizzati dai ricordi che non facciamo altro che pensarci. Ma perché a volte il passato spaventa così tanto e sembra perseguitarci?
Provo a ipotizzare una possibile spiegazione: il passato ci spaventa perché spesso abbiamo paura che sia destinato a ripetersi: pensiamo a quella volta in cui qualcuno o qualcosa ci ha fatto soffrire e abbiamo timore che tutto questo possa accadere di nuovo e che quel dolore possa riemergere. Ma rifuggendo il passato, alimentiamo in noi la credenza che possa essere pericoloso, con il risultato di pensarci ancora di più. È per questo che a volte ci sentiamo schiavi dei nostri ricordi. Se proviamo però a prendere per un attimo le distanze da ciò che è stato e ci focalizziamo su ciò che è, avremo la possibilità di capire che siamo sempre noi, sempre gli stessi, con nuove consapevolezze e magari con qualche ferita in più, ma siamo vivi e adesso abbiamo l’occasione di vivere il momento, che sarà sempre unico nel suo genere, perché le cose non sono mai uguali a se stesse.
Quell’esame andato male, quella persona che ci ha fatto soffrire, quel cambiamento inaspettato, tutte queste cose possono ferirci, a volte persino destabilizzarci, ma ciò che conta è esserci, vivere affrontando anche le giornate più dure, godere di ogni istante perché quando si vede solo caos dentro e fuori di sé, ciò che conta è riuscire a far funzionare un singolo minuto.
Citando Roth:
«Il segreto è stare in quel momento, senza badare al resto e senza avere idea di dove andrai dopo. Perché se riesci a far funzionare un momento, puoi arrivare dappertutto.»
L’ansia del futuro
Finora ci siamo concentrati sulla paura del passato, ma a volte anche il futuro può generarci ansia. Come detto in precedenza, viviamo in una società che tenta di dimezzare i tempi, di rendere tutto più istantaneo. Questo ha un impatto concreto sulla nostra vita, perché se da un lato sembra fantastico riuscire a fare qualsiasi cosa in un secondo con un semplice click, dall’altro spesso alle persone viene imposto di adeguarsi a tempistiche innaturali e dannose per la salute mentale e fisica.
“Voglio che questa pratica sia chiusa entro un’ora, che questo progetto sia consegnato entro domani, voglio che tu riesca a laurearti entro l’anno ecc..”.
Viviamo in un periodo storico in cui ai giovani vengono richiesti sempre più requisiti e competenze, addirittura spesso si esige un’esperienza che non è compatibile con la giovane età. Si pretende l’impossibile e si finisce per sentirsi soffocati e inadeguati. Ciò genera il terrore di non essere abbastanza, di non riuscire a soddisfare le aspettative della società e per questo motivo si inizia a “correre”.
Abbiamo talmente paura di non riuscire a realizzare i nostri obbiettivi, che spesso ne veniamo totalmente travolti e ci ritroviamo a correre senza sapere più la direzione e senza capire nemmeno perché lo stiamo facendo. Dobbiamo essere produttivi, efficienti e ci sentiamo soddisfatti solo se a fine giornata abbiamo portato a termine i compiti che ci hanno o ci siamo assegnati. La verità è che questo ci rende schiavi delle nostre azioni. A 20 anni siamo già esausti e siamo allo stesso tempo consapevoli di avere ancora un lungo percorso davanti a noi. Ci si impegna e si lotta per raggiungere una presunta “felicità” futura, senza godersi il tempo presente: si spera sempre in un domani migliore, mentre si sciupa l’oggi.
Anche in questo caso, credo che la soluzione sia “stare in quel momento”. Qualsiasi cosa abbiamo programmato per il futuro, si verificherà a suo tempo e probabilmente non saremo perfettamente coscienti del processo che ha reso possibile la realizzazione di quel determinato evento. Il nostro potere riguarda solo il tempo presente: oggi posso studiare 30 pagine, domani farò lo stesso e alla fine arriverò alla conclusione del capitolo. Pretendere di avere “tutto e subito” è una forma di presunzione naturale quando si è concentrati su un obbiettivo, ma non è certo qualcosa di “produttivo” per usare un termine inerente al tema.
Da bambini quando abbiamo iniziato a parlare, non abbiamo avuto la presunzione di pensare che fin dai primi anni saremmo riusciti a produrre discorsi elaborati, eppure abbiamo continuato a provare. Sillaba dopo sillaba, parole, frasi e infine periodi, ci hanno portato a dare forma ai nostri pensieri. Così forse funziona anche la vita, lezione dopo lezione, errore dopo errore, impieghiamo una vita per imparare a vivere ed è giusto così. Per alcuni potrebbe suonare come un “tempo lento”, ma è l’unico possibile e l’unico che ci garantisce la conservazione di chi siamo e la validità della nostra esistenza.
Se ci si focalizziamo sul nostro benessere, a prescindere dai tempi che pensiamo che siano stati stabiliti per noi, ci rendiamo conto di quanta bellezza ci circondi e di quanto il mondo, che vediamo correre di continuo, sia più statico e più ribelle di quanto pensiamo: perché gli standard che ci imponiamo di rispettare, se si osserva bene, vengono rispettati da pochissimi, quasi sempre in modo parziale e non è detto che quei pochi numeri conducano una vita migliore. Questo non deve spaventare, ma rassicurare perché significa che nessuno di noi è sbagliato, ma anzi è la logica di falso perfezionismo che abbiamo costruito ad essere errata.
La storia è fatta di persone e la vita è definita da esse, non da presunte leggi prestabilite, perciò ciascuno di noi ha la libertà di vivere come meglio crede e di potersi fermare, dove fermarsi non vuol dire rimanere indietro, ma avere la possibilità di osservare.
Concludo con un’ultima citazione di Lucio Anneo Seneca che spero possa generare una riflessione:
«Per essere felici bisogna eliminare due cose: il timore di un male futuro e il ricordo di un male passato: questo non ci riguarda più, quello non ci riguarda ancora.»
Articolo a cura di Annachiara Bartocci