Stringere il sogno tra le mani: è la felicità?
La recensione di Martin Eden di Pietro Marcelli, presentato al Festival di Venezia 76
di Beatrice Castioni
Martin Eden fa parte del proletariato napoletano nei primi anni del 1900 e lavora come marinaio e manovale. Al pari di tutti i suoi amici e colleghi, ha dovuto interrompere gli studi elementari per poter guadagnare denaro. Tuttavia, quando conosce la bellissima e nobile Elena, si sente inadeguato e decide che la sua vita deve cambiare. Comincia a divorare libri su libri, si misura con la composizione, sebbene acerba, di poemi. Scrive lettere appassionate e sgrammaticate alla bella ragazza, mentre è costretto a trasferirsi per frequenti periodi a causa del lavoro.
Finalmente Martin diventa l’erudito che sognava di essere, ha conquistato la donna dei suoi sogni e ha successo come scrittore. La fama e il nuovo stile di vita lo portano ad allontanarsi dall’ambiente nel quale aveva sempre vissuto. La sua personalità cambia e si chiede se tutto quello che voleva, ora che ce l’ha lo renda felice.
Martin Eden è un film diretto da un Pietro Marcelli, che si è ispirato liberamente al romanzo dello scrittore statunitense Jack London del 1909. Il romanzo contiene una forte critica al capitalismo cinico dell’epoca, che aveva ridotto moltissimi statunitensi ad una vita di stenti e difficoltà. La trasposizione filmica è stata presentata al Festival del Cinema di Venezia 76, e ha vinto il premio di miglior attore con Luca Marinelli.
Una prigione diventa una casa, se trovi la chiave. (Martin)
Martin parte povero e quasi analfabeta, e conclude il suo percorso di formazione da rispettato ed erudito letterato. Le sue idee politiche e sociali sono ascoltate e i suoi vecchi fantasmi ora gli permettono di farsi sentire dai lettori, di ricavare benessere dai passati tormenti. Martin è felice. È felice? Ha tutto quello che desiderava è che sembrava pressoché impossibile per uno come lui. Disprezza i bassifondi da cui è venuto e gli amici di sempre. Si crogiola nelle feste alcoliche e nell’ossequioso rispetto dell’alta società. Ha una casa di tutto rispetto e collaboratori che lo affiancano in tutto. È felice?
I suoi scritti sono tanti adesso, ma non tutti appassionati e veri come quelli degli inizi. Elena glielo aveva detto, che con i suoi pensieri depressi avrebbe venduto poco e avrebbe invece dovuto considerare l’idea di andare incontro al gusto dei lettori. Ma questo è quello che è. O almeno, che era. Da un po’ non scrive molto, beve e risulta anaffettivo nei confronti di chiunque. La rivincita verso il cognato, le riviste che lo hanno rifiutato, la famiglia di Elena che lo aveva sempre guardato dall’alto in basso. Ce l’ha fatta, ha quello che vuole. Ma sente un sapore amaro salirgli dalla bocca dello stomaco.
Martin agisce da sempre con il cuore. Si innamora di Elena Orsini e vuole conquistarla, lavora duramente per potersi permettere di continuare a scrivere appena trova del tempo. Difende l’amico maltrattato a lavoro e salva un giovane dalle percosse di un bruto. È quello che si definirebbe un uomo buono, vero. Ma la fama, la smania di arrivare e la differenza di trattamento dei ricchi una volta diventato il Signor Eden, lo fa vacillare. Comincia ad agire con la testa, abbandona molti è ne disprezza anche di più.
Anche la testa non basta però, e si abbandona ai confortanti annebbiamenti dell’alcol per non pensare al fatto che nemmeno adesso è soddisfatto. Le sue idee individualiste in una prole votata al socialismo lo rendono al tempo stesso parte ed escluso dai suoi affetti. Ha provato a spiegare loro che eliminati i grandi capi, se ne farebbero altri mascherati da compagni ma sempre con mire personali ed egoistiche. Ma in pochi lo ascoltano, e anelano ad una società utopistica che non considera la realtà dei fatti. Martin ha quindi la forza di insistere per convertirli a ciò che crede più giusto? A che prezzo?
Martin Eden è una pellicola che omaggia i grandi film del passato, unendo il film d’autore allo sperimentalismo e al classicismo, non perdendo di vista tematiche attuali e moderne, comprensibili al grande pubblico. Una storia semplice ma profonda, che racconta della fascia bassa della società ma in modo raffinato. Le ambientazioni scelte sono realistiche e comuni, nelle quali il regista inserisce personaggi altrettanto verosimili. La California del romanzo di London è sostituita con la Campania, a dimostrare che il viaggio geografico conduce alle medesime situazioni e considerazioni sociali. Che si tratti di cittadini proletari americani o italiani.
Degna di nota è la fotografia (insieme ai colori che pervadono i costumi, le location e tutti gli elementi del set), accompagnata da una colonna sonora discreta ma efficace. Una menzione anche per il lavoro di Luca Marinelli, che porta in scena un uomo semplice ma al tempo stesso tormentato, sfaccettato e distrutto, pieno di sogni ma svuotato dalle difficoltà della vita. Scene che ricordano dipinti grazie alla loro composizione formale, alternate a immagini storiche filtrate da sfumature monocromatiche. Queste pillole visive permettono di immergere chi guarda nel reale mondo che è stato, compiendo piccoli viaggi quasi onirici e inconsistenti. Un film che parla di Novecento ma che diventa pretesto per parlare di tutte le società di qualsiasi epoca e fascia sociale.