Le piccole Belle Arti di Verona si fanno strada fra i pregiudizi
L’Accademia non è solo corsi di pittura e scultura, ma anche design, tecnologia per l’arte e offerte di lavoro.
Verona dispone di un’ampia offerta formativa non semplificabile solo nell’università. Proprio per questo abbiamo deciso di fare quattro chiacchiere con Francesco, 23 anni, ex studente di design all’Accademia di Belle Arti di Verona.
Francesco, in che modo sei entrato nella realtà dell’Accademia? Ti sei sentito a tuo agio fin da subito?
La scelta dell’Accademia è stata una conseguenza del mio percorso delle superiori. Ho frequentato il liceo artistico e ho deciso di continuare in una struttura a me famigliare, come mi sembrava l’Accademia di Belle Arti di Verona. Anche lo stesso stabile mi ricordava molto il liceo della mia cittadina: una villa dell’800 con pochi studenti.
Che poi è forse un po’ l’immagine ideale che si può avere di un’Accademia di Belle Arti, fra colonne, affreschi, ecc…
Sicuramente aiuta ed è molto suggestivo: tu come matricola entri e vedi una villa dell’800 mezza diroccata con gli studenti che la restaurano e ti vien voglia di andar lì, perché pensi che sia tutto un mondo felice. Oltretutto all’inizio, quando la frequentavo io, non era come adesso: ora è un’accademia più inclusiva mentre allora era un mondo a sé e straniato. Poi fra le stanze affrescate e i pavimenti che scricchiolano si può assaporare il passato, ma soprattutto respirare quell’aria artistica meno impostata e più facile, dove ti senti un po’ più libero.
In che senso ti senti un po’ più libero? Intendi nell’espressione dell’arte e creatività?
Diciamo che con determinati professori era concessa una certa libertà: nel tuo progetto di design, per esempio, riuscivi a mettere un guizzo artistico o qualcosa che andasse oltre. In questo modo eri libero di sperimentare senza troppi paletti, anche se forse è uno dei limiti dell’Accademia: sei lasciato quasi troppo libero di provare e sbagliare, favorendo un modo di pensare che non è quello delle aziende.
Come un po’ un’illusione?
Più che un’illusione direi che sbatti la testa contro il muro, perché ti ritrovi ad avere paletti a quali non sei stato preparato. Diciamo che c’è sempre stato un certo distacco fra l’Accademia e le aziende, e non penso sia un problema del mio corso o annata ma piuttosto dell’intero sistema. Le aziende vedono le accademie piccole, come quella di Verona, una realtà in cui non credere fino in fondo. Dovrebbe esserci invece un interscambio più continuo: poche aziende che investono veramente nell’Accademia per formare i loro futuri designer. Perché è inutile far frequentare un corso di design se poi quando finisci ti ritrovi a dover fare tanta gavetta e capire ancora tante cose, perché vieni da un mondo che non è impostato per il lavoro. Poi, per dire, ti lascia libero di far quel che vuoi, così uno studente con una forte passione per qualcosa ha la possibilità di continuare a svilupparla. Però c’è un grande deficit sul mondo del lavoro, anche perché sono cose talmente creative che certe volte ti perdi, mentre nella realtà non è così e ci sono paletti per i costi.
In questa tua scelta hai trovato degli ostacoli? O conosci qualcuno che li ha avuti?
Io no, assolutamente. Però c’è stata qualche persona che conosco con dei genitori un po’ restii. Ma non derivava dal fatto che studiassero design, anche perché nel mondo del lavoro ci sono molte occasioni per la nostra categoria.
Allora forse il problema sono gli stereotipi?
Quelli ci sono sempre stati, come per il liceo artistico, meglio conosciuto come il liceo dei drogati (ride, ndr), anche se mi sembra ci siano ovunque. Sono stereotipi che sono ancora insiti nella nostra testa e che si indeboliranno più in là negli anni; anche perché se vent’anni fa l’Accademia era un luogo di artisti adesso non lo è quasi più, sono merce rara e lavorano ormai tutti nel digitale. Poi diciamo che il pregiudizio, in senso scherzoso naturalmente, è insito anche all’interno dell’Accademia fra vari dipartimenti ed è dunque normale che ci sia anche fuori, anzi si amplifica.
Si amplifica in che senso?
Anche a me che studio design mi dicono “Ah che bello, ma dunque pitturi?”. Non pensano che dentro all’Accademia ci possa essere un corso di design, di nuove tecnologie per l’arte o di gaming. Il problema però diventa rilevante quando si esce dall’Accademia e, anche se nel tuo curriculum scrivi “Accademia di Belle Arti-Dipartimento di Design”, chi legge vede solo Accademia di Belle Arti. Pensano che abbiamo tutti la testa tra le nuvole. Quindi c’è tantissimo pregiudizio nel mondo là fuori e se dentro all’Accademia è sano perché scherzoso, fuori ci vedono come tutti “strafatti” e drogati.
Proprio così di brutto? Pensavo fosse legato solo al liceo artistico…
Ah no fidati, ci sono anche quelli. Per esempio, a me è capitato di parlare con persone che hanno aziende e la classica domanda era “Ah, fai l’accademia? Ma perché non hai scelto di fare il Politecnico?” e finiamo sempre lì. Perché io non possono scegliere di frequentare un’accademia più piccola dove l’ambiente è un po’ più famigliare per me? Se andiamo tutti nello stesso posto alla fine veniamo fuori tutti uguali e poi non tutti siamo adatti per certi ambienti.
Ma poi sembrano vederci qualcosa di male nella creatività…
Secondo me il problema è più grosso, perché uno che fa l’Accademia di Belle Arti innanzitutto non è visto a pari merito con chi frequenta un corso all’università. Poi soprattutto viene valutato su dei parametri sbagliati: non si dovrebbe guardare il voto, perché magari quell’anno uno studente non era ispirato. Si dovrebbe invece vedere come una persona si muove. Poi il mondo dell’Accademia dovrebbe investire molto di più nel lavoro per superare questi pregiudizi, ci devono essere più opportunità di lavorare con le aziende. Io persino sarei favorevole a fare un anno di percorso di studi in più dedicato interamente al tirocinio in un’azienda. Quindi anche le imprese devono avere la forza di dedicare tempo e risorse alla formazione, alla fine ci guadagnerebbero pure loro, dato che probabilmente lavoreresti gratis.
Che clima hai riscontrato in questi 3 anni di Accademia?
C’era un clima molto famigliare in cui anche i professori si ricordavano spesso di te, o almeno si ricordavano di me (ride, ndr), e si andava anche a fare aperitivo dopo l’esame. Non c’era tutta questa formalità e da quel punto di vista è molto bello, perché avere un ambiente poco impostato aiuta la creatività. Anche durante i laboratori, se mancava l’ispirazione, venivi lasciato libero di guardarti intorno e confrontarti senza produrre nulla. Non sono mai stato particolarmente preoccupato per le sessioni d’esame, anzi ero tranquillissimo perché la maggior parte dei corsi sono progetti e dunque, una volta che hai fatto bene il tuo lavoro, sei tranquillo. È veramente un ambiente in cui stress non ce n’è, anche se a volte servirebbe essere un po’ più “tirati”.
Concludendo, cosa diresti a una matricola che si approccia al mondo delle Belle Arti?
Guardando il mio percorso di studi gli direi di fare la spugna, perché noi dovremmo cercare di raccogliere il più possibile per poi lasciare andare, senza focalizzarci troppo su cosa fare in futuro. Ci sarà tempo per specializzarsi, anzi, solo quando la matricola avrà avuto conferma di quello che vuole fare, deve studiare tantissimo quella cosa. Quest’ultimo aspetto poi è molto importante, perché chi esce dall’Accademia di Belle Arti deve avere una forte passione per qualcosa, altrimenti rischia di far fatica a trovare degli stimoli.