Dopo gli eventi del’11 settembre e gli attentati a Londra e Madrid, l’allerta è massima e la caccia ai terroristi ha la priorità negli stati occidentale. Amburgo non è solo una città portuale, ma anche base di alcune cellule terroristiche responsabili dell’attentato alle Torri Gemelle. Ed è qui che opera un gruppo di agenti segreti anti-terrorismo capitanati da Günther Bachmann, la spia. Lontano dallo stereotipo cinematografico e seriale dell’agente segreto, Bachmann (Phillip Seymor Hoffman) è un tipo solitario, a cui piace bere, fumare e dedito al suo lavoro: giorno e notte è sempre in prima linea nella ricerca di possibili attentatori.
Nel mirino dell’agente è finito l’accademico musulmano Faisal Abdullah, sospettato di finanziare lo stato islamico attraverso un falso ente benefico. In mancanza di prove concrete, però, Bachman è costretto a servirsi di “pesci piccoli”: Yssa Karpov, giovane ceceno russo convertitosi all’islam ed erede di una ingente somma di denaro, l’avvocato civile Annabel Ricter e il banchiere Tommy Brue. Il tutto per arrivare al suo obiettivo: l’uomo più ricercato del mondo. Il tutto per garantire la sicurezza nazionale.
Non aspettatevi inseguimenti estremi o combattimenti all’ultimo sangue. Non è un altro film alla 007. La caccia all’uomo si gioca tutto sul tempo, strategie, accordi e ricatti. E Bachmann è un esperto. Ma nella lotta contro il terrorismo, la spia deve fare anche i conti con la CIA e gli agenti della sicurezza nazionale tedesca, pronti a prendersi la loro fetta al momento giusto.
Tratto dal romanzo “Yssa il buono” di John le Carré, la trama è incentrata su un tema fortemente attuale: la lotta al terrorismo moderno. In un tempo facilmente collocabile, vicino allo spettatore, la trama della story spy è complessa, costruita ad hoc per sorprendere al momento giusto che si svela piano piano al suo pubblico. Pur non essendo nuovo il genere dello spionaggio, trattato e ritrattato nelle serie tv e nei film, “A most Wanted man” si differenziarsi da altri per il ritmo pacato, la quasi assenza di scene d’azione (solo 2 in tutto nel film) e nel voler sottolineare quanto il mestiere della spia si un lavoro di squadra, di ricerca e di contatti interni ed esterni alle operazioni.
Uno degli altri punti di forza del film di Corbijn – sicuramente il passato di fotografo del regista è stato fondamentale – è la cura particolare delle immagine che risultato eleganti e sobrie; dove ogni elemento non è lasciato al caso, ma selezionato per enfatizzare la storia e accompagnare la interpretazione di un cast notevole. In particolare e oggetto di notizie in questo periodo è stato la presenza di Hoffman scomparso nel febbraio di quest’anno e per la cui interpretazione si parla di una candidatura agli oscar. Premio Oscar o meno, il vero protagonista è stato lui dall’inizio alla fine, dando prova ancora una volta di essere stato un ottimo attore. Un film che rimarrà impreso nella mente di alcuni di noi e (perché no) nella storia del cinema, vuoi un po’ perché è stata l’ultima interpretazione di Seymor Hoffman e vuoi un po’ perché la sua trama ci ricorda un passato recente.