Kobane Calling, ZeroCalcare

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Tempo di lettura: 4 minuti

Un viaggio a fumetti alla scoperta di sé e del mondo

Articolo comparso nella sezione “Cultura” del n°45 di Pass Magazine

di Sara Bonoldi

Zerocalcare, pseudonimo di Michele Rech, stupisce i suoi lettori con l’ultima opera Kobane calling, edito da BAO Publishing (pp., € 20,00) con la cura della grafica di copertina di Alberto Madrugal, e pubblicato parzialmente anche nel settimanale Internazionale nel gennaio 2015. Insignito del premio Attilio Micheluzzi come miglior fumetto durante il Napoli Comicon del 2017, si configura come un profondo cambiamento rispetto alle storie personali tipiche dell’autore.

Michele esce dal suo amato quartiere romano, Rebibbia, per affrontare un’impresa tutt’altro che semplice tra Turchia, Iraq e Siria. L’obiettivo è quello di entrare in contatto, conoscere e poter raccontare, ciò che i media mainstream occidentali tacciono in favore di un’incalzante politica dell’odio e della formazione di un brand del terrore che nemmeno nei disegni di Zerocalcare trova la dignità di un volto. Ciò che lo attira in un territorio così instabile non è una sconsiderata esigenza di avventura ma un calderone di principi, ideali, prospettive ed ambizioni, racchiuso in una battaglia che dura già da quarant’anni. La resistenza curda. Il fumetto permette al lettore di immergersi nella realtà del partito PKK, accusato di terrorismo in quello che l’autore definisce il grande raggiro mesopotamico operato dagli occidentali, e di conoscere la milizia femminile YPJ e quella mista YPG, di conoscere il Rojava, sempre ignorato dai mezzi d’informazione occidentali. Nonostante la serietà e l’impegno di cui si investe l’autore, non mancano nella narrazione gli elementi tipici di indagine introspettiva a cui si sottopone, digressioni sulla reazione inaspettata della madre al comunicarle la partenza per un luogo che si trova «a tre fermate di metro» dalla guerra vera, riflessioni sulle motivazioni che lo hanno spinto ad andare in un posto dimenticato da Dio ma soprattutto dagli uomini, accenni di inadeguatezza e di terrore, tutto sottotitolato dalle parole dell’armadillo e del mammut che rappresentano la sua coscienza e il suo attaccamento alle abitudini sicure.

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Zerocalcare intraprende, tanto nella vita reale, tanto nelle circa 250 tavole illustrate, due viaggi per immergersi e indagare i concetti di umanità e libertà, di determinazione e dedizione, che riesce poi a trasmettere con il suo stile rapido e spontaneo, con il suo dialetto romano. Riesce a rendere la battaglia dei curdi una battaglia personale fino a renderla battaglia dell’umanità. Perché se perdono i curdi, perdono tutti. Il primo viaggio lo porta a Mehser, una cittadina turca che si affaccia al confine siriano, si affaccia proprio davanti alla città di Kobane, baluardo della resistenza curda contro l’Isis, dove si impegnerà a contribuire agli aiuti umanitari. Durante il secondo viaggio, percepito come necessario al fine di completare il quadro, percorre varie tappe dall’accampamento del PKK nel Kurdistan iracheno a Kobane stessa, dalle cui macerie sale l’odore della morte, intrecciandosi con le vite di Ezel, Berzan e Nasrin, passando per una sottile striscia di terra strappata dalle mani degli estremisti, sorprendendosi davanti agli ideali e ai profondi valori sui quali si fonda il confederalismo democratico del Rojava, non in maniera astratta ma nella vita quotidiana.

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Il Rojava è un sottile territorio all’interno dei confini siriani dichiarato indipendente dai curdi nel 2011, il cui regolamento si basa «sulla convivenza etnica e religiosa, la partecipazione, l’emancipazione femminile, la ridistribuzione delle ricchezze e l’ecologia». Un utopia che profuma di possibilità grazie all’impegno dei combattenti che sacrificano tutto in suo nome, senza chiedere nulla in cambio. Zerocalcare lo prende a modello per descrivere con precisione e malcelato sbalordimento alcuni aspetti della questione mediorientale che non vengono mai presi in considerazione se non in maniera distorta. I profughi sono accolti in campi ordinati e organizzati. I guerriglieri preferiscono non rivedere le loro famiglie per non cedere alla debolezza, inoltre non si mischiano mai ai civili per proteggerli dall’esercito turco, che tra l’altro sostiene in più episodi l’ISIS. L’ospitalità, anche se sottoforma di olive piccanti e zuppa di lenticchie a colazione, è una caratteristica che spicca in un contesto così difficile. Nonostante ci siano persone di dubbia integrità morale, l’esperienza diretta permette di affermare l’inutilità della generalizzazione su base etnica. Vengono sovvertiti i pregiudizi e gli stereotipi occidentali, nonostante ci si possa trovare di fronte a delle gabbie per uccellini dove l’ISIS usa esporre le teste dei giustiziati.

I disegni esprimono l’energia delle donne che, protagoniste attive della guerriglia, non sono oppresse e maltrattate. Sono di etnia curda e non solo, hanno l’ambizione comune di poter liberare il loro paese e poter convivere in armonia, hanno importanti cariche politiche e militari, hanno autorità e rispetto, si occupano delle donne e dei bambini che subiscono abusi, delle madri e delle mogli che perdono continuamente figli e mariti, tutte attività che svolgono con una dolcezza che stona quasi tra i rimbombi di una guerra così vicina.

Ma l’autore non vuole raccontare la guerra, non è un giornalista e questo non è un reportage, sono memorie di un viaggio che insegna a chi l’ha compiuto ma anche a chi legge l’importanza di trovare elementi di umanità anche in questo caos. Ed è così che si accende un sorriso guardando un cielo pieno di stelle, un ragazzo che videochiama la fidanzata o espressioni sincere di solidarietà tra donne di etnie diverse al cimitero.

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