Io voto per il voto.
Il ‘problema’ referendum visto dagli studenti.
Il prossimo 17 aprile si svolgerà il referendum popolare abrogativo sulle trivelle. All’Italia sarà posto un quesito importante sul futuro degli impianti di coltivazione e estrazione degli idrocarburi liquidi e gassosi situati lungo le nostre coste. Il quesito, cui siamo chiamati a rispondere, riguarda l’abrogazione di una frase dell’articolo 6 della legge 152/2006, introdotta con il comma 239 dell’articolo 1 legge 208/2015. Si parla quindi della durata della concessione dei titoli abilitativi già concessi agli impianti posti entro le dodici miglia dalle linee di costa e del perimetro esterno delle aree protette. Si parla comunque di un pugno di concessioni, circa venti, corrispondenti a una quarantina di impianti posti entro l’area indicata. La legislazione vigente permette quindi l’estrazione e la coltivazione a tempo indefinito, per la durata utile del giacimento. Abrogare la frase, significherebbe invece porre un limite temporale preciso alle attività, individuato nella scadenza delle attuali concessioni, complessivamente tra circa 15-20 anni. Si vota oggi per agire domani, quindi.
La posta in gioco è molto alta. Con questo referendum si fotograferà la situazione italiana, l’attenzione ai problemi ambientali, la paura di catastrofi, la preoccupazione per una risorsa economica importante, un sentimento nazionalistico e autosufficiente. Ma qualunque sia il risultato, si testerà indirettamente la funzionalità di uno strumento di voto democratico.
«Si deve comunque andare a votare perché il referendum è un esercizio importante di democrazia, tanto più quando i cittadini sono chiamati ad esprimersi senza filtri. Il mio è un invito al voto. Dopodiché ognuno vota come ritiene più opportuno», spiega Laura Boldrini, presidente della Camera.
Un voto, un gesto di democrazia, di partecipazione, di (falsa?) speranza. Un diritto di ogni cittadino.
Nello specifico, domenica 17 aprile 2016, dalle 7 alle 23, ogni cittadino che abbia compiuto 18 anni entro tale data, munito di tessera elettorale e documento di identità, nei seggi indicati dal comune di residenza.
Un’importante facilitazione è stata introdotta quest’anno per gli elettori temporaneamente all’estero per motivi di lavoro o studio che, a partire da questo referendum, se lontani per un periodo minimo di tre mesi, hanno potuto inviare il proprio voto secondo le modalità e le tempistiche espresse dal comune di residenza e dagli uffici consolari competenti.
E cosa si fa per gli studenti in esilio in patria? I cosiddetti fuori sede, lontani centinaia di kilometri dal proprio comune di residenza? Al solito, niente.
Con il tempo le varie associazioni studentesche a livello nazionale, o gruppi autonomi di fuori sede, hanno cercato di dare una risposta a un problema insospettabilmente serio. Secondo dati ISTAT, sono circa 600’000 gli studenti che studiano in comune o provincia diversa da quella di residenza, per una buona metà in altra regione. Come esercitare quindi il proprio diritto/dovere di voto?
Appellarsi a scappatoie e cavilli burocratici sembra l’unica soluzione, con metodi ancor poco chiari e macchinosi, davanti ai quali lo studente medio spesso perde fiducia e voglia di combattere.
A livello nazionale, e in particolare nel nostro Ateneo, è l’UDU-Unione degli universitari, sezione di Verona a occuparsi della questione. Già postate sul sito ufficiale e sui social notizie e informazioni riguardanti le modalità di voto, e le varie iniziative organizzate.
E per gli studenti che invece vogliono approfittare di un breve (seppur estenuante) rimpatrio, come di consueto Trenitalia e Italo mettono a disposizione dei biglietti scontati fino al 70% sui treni a lunga percorrenza, da utilizzare dal 7 al 26 aprile, acquistabili con l’esibizione di documento d’identità e tessera elettorale.
Il 17 aprile l’Italia si divide tra lo sì e il no. Vincerà l’astensionismo? Probabilmente, ma non chiamatela vittoria…
Francesca Cantone