Chi voglio essere e chi devo diventare

il re recensione
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La recensione di Il re di David Michôd, presente a Venezia 76. Nato da Shakespeare ma sviluppato a tinte moderne e ironiche

di Beatrice Castioni

Inghilterra, 1400. Il giovane Hal trascorre le sue giornate in balia del divertimento e dell’alcol. Partecipa ai numerosi festini di corte, lontano dalla presenza sgradita del padre, il re. Sir John Falstaff si occupa di lui e ne segue la crescita; un tempo abile soldato, oggi consiglia il ragazzo e lo protegge dai pericoli nemici. Il principe non è mai stato interessato al regno, dato che ha un rapporto conflittuale con il padre. Tuttavia, quando muore il fratello minore al quale era destinato il trono, una volta deceduto il re, Hal sarà costretto ad imparare in fretta come governare un regno.

Il ragazzo, a differenza del suo predecessore, sogna un regno unito e un tempo di pace, ma sarà costretto a muovere guerra contro la Francia per difendere l’onore della sua corona. Quello che doveva essere un accordo con il sovrano francese per evitare troppi spargimenti di sangue, si tramuta ben presto in un conflitto guidato da odio e vanità. I suoi propositi di pace si scontrano con gli intrighi di corte e i cospiratori, e sarà il giovane Enrico V a dover pensare a come proteggere un’intera nazione.

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Il re è un film che indaga i rapporti tra padri e figli. Rapporti mossi da astio, vecchi rancori mai dimenticati e voglia di prevalsa; gli eredi convinti di poter fare meglio dei predecessori. È un film che parla di principi e re medievali, ma che quando si tratta di dinamiche familiari è assolutamente attuale e moderno. Viene preso in esame il divario che separa il re Enrico IV e il giovane Hal; il primo che non desidera vederlo a corte e lo umilia affidando il regno al fratello minore, più in linea con le sue idee. Il secondo che è ben contento di non doversi misurare col padre, e che anzi preferisce non averne nulla a che fare. Quando tuttavia il fratello muore in una battaglia che aveva voluto il padre, Hal è costretto a tornare per visitare il vecchio sovrano morente, che lo prega di governare l’Inghilterra.

Il nuovo Enrico V accetta, ma a modo suo: non vuole seguire le orme dell’uomo, ma anzi mira ad uno stato pacifico e collaborativo con i regnanti limitrofi. Quando si trova costretto a rispondere ai presunti insulti della Francia, tenta comunque in tutti i modi di evitare vittime e dolore. Ma il figlio del sovrano francese, Luigi, non è dello stesso avviso. E così Hal sente suo malgrado di avvicinarsi al modus operandi del padre, dovendo essere determinato e coraggioso, obiettivo e freddo se occorre. John Falstaff non è solo il suo consigliere e capo di una frangia dell’esercito, ma ricopre la figura paterna di cui il giovane ha disperatamente bisogno.

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Altra coppia padre-figlio presa in analisi è proprio quella tra il Delfino e il re francese Luigi XIV. Se Enrico V vuole porre fine alle infinite guerre e all’odio scatenato dal feroce Enrico IV, il Delfino disprezza il padre non considerando la sua richiesta di resa verso l’Inghilterra. Decide invece di non rispettare il suo volere e sfidare il re inglese prima con l’esercito, e poi a duello. I ruoli qui si invertono: l’impeto e l’arroganza giovanile hanno la meglio sulla razionalità e la correttezza che Luigi XIV sembra avere. Il figlio incarna tutto ciò che il protagonista non vuole diventare e si comporta in modo superbo e spocchioso. Ci vengono quindi mostrati due tipi diversi di rapporti genitoriali, resi più aspri dall’assenza di mogli e madri.

Nonostante la quasi totale assenza femminile in Il re, la breve ma incisiva apparizione di Caterina di Valois, altra figlia di Luigi di Francia, dimostra come la presenza di una donna possa portare consiglio. Hal capisce sin da subito che Caterina sta dalla sua parte, gli è sincera e devota, anche se non può assicurargli il suo amore. Si tratta di una giovane saggia, misurata e pungente, che sa rispettare il posto della donna nel 1400 ma non rinuncia al rispetto. Il regista sembra voler suggerire allo spettatore quanto l’uomo a volte possa essere irruento ed impulsivo nelle sue decisioni, mentre la donna sia riflessiva, profonda; influenza positiva se chiamata ad affiancare il suo partner.

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Questo dramma storico aveva tutte le premesse per diventare un gran film. Un cast formato da un giovane ma talentuoso Chalamet (anche se a volte è difficile che sia credibile nel battere uomini più forti e grossi di lui, avendo una fisicità mingerlina). Una veste inedita e spassosa per il personaggio di Pattinson, che sfodera con successo i suoi tempi comici. L’ironia che segue tutta la durata della pellicola attraverso il ruolo rozzo e grottesco di Edgerton. Colonna sonora e fotografia d’impatto, colori freddi che dominano la scena e inquadrature a campo lunghissimo sui campi di guerra devastati da sangue e caos.

Nonostante ciò, Il re di Michôd non si distingue dai tanti drammi storici che siamo abituati a vedere, e l’empatia con i personaggi resta a tratti superficiale. Una pellicola che poteva rievocare un’atmosfera di epicità si distanzia invece dalla leggenda e dal mito, dal fascino eroico dei personaggi shakespeariani. Ne resta quindi solo la storia di re e comandanti accecati dal potere e dalla pace ad ogni prezzo. Hal compie un viaggio di formazione in una destrutturazione del mito più cruda e tangibile, ma che non lascia nulla di particolarmente impresso negli occhi e nel cuore degli spettatori.

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