Giovani scrittori nel nostro ateneo
Gabriele Corradi, studente univr, ha partecipato al “Campiello Giovani”
di Francesco Novella
Articolo comparso nella sezione Ateneo del n°50 di Pass Magazine
Intervista a Gabriele Corradi, studente della Laurea Magistrale in Interpretazione e traduzione dei testi letterari a Verona, di cui è originario. Lo scorso anno la sua penna ha partecipato alle semifinali nazionali per il premio letterario Campiello Giovani 2017, portando il racconto intitolato “La Mongolfiera o l’uomo che volò in cielo”. Andiamo a conoscere meglio questa mente creativa e possibile promessa letteraria italiana.
Ciao Gabriele, raccontaci un po’ come è nata l’idea di partecipare al Premio Campiello e che tipo di traguardi hai raggiunto alla fine di quest’esperienza.
Coltivo da qualche tempo una speciale passione per la scrittura, ed essendo il 2017 per me l’ultimo anno utile per iscrivermi alla sezione giovanile del concorso, ho deciso di inviare un mio elaborato inedito. Questo testo, scritto specificamente per il Campiello, racconta di un giovane nobile vissuto al tramonto del diciottesimo secolo e della sua fuga di tre giorni con una mongolfiera, mezzo assai raro ed eccentrico per quell’epoca. Il volo si rivela un inconsapevole pellegrinaggio, e il suo fuggire dalla nobiltà e dalla famiglia uno strumento di rilettura di se stesso.
Ѐ stato difficile coniugare lo studio con la scrittura?
L’elaborazione di La Mongolfiera non è stata facile. La consegna ultima della presentazione dei manoscritti cadeva proprio in piena sessione invernale e, a causa dei vari impegni universitari, sono stato in grado di consegnare il mio elaborato solo l’ultimo giorno utile, il 16 gennaio 2017. Lo studio non mi è stato di intralcio, anzi: studiando Lettere ho avuto, e ho tuttora, la possibilità di sollecitare la fantasia studiando molte storie. Secondo me l’originalità tout-court non esiste e ogni racconto è figlio di qualcosa che lo ha preceduto.
Come si è svolta la cerimonia di selezione dei finalisti?
Il 16 marzo 2017 ho ricevuto per mail la conferma del mio accesso alla semifinale e il 28 aprile sono stato invitato al Teatro Nuovo per la selezione della cinquina finalista. L’evento è stato organizzato davvero in grande e l’interesse degli enti organizzatori nei confronti dei giovani scrittori era tangibile. A ciascuno di noi sono stati concessi una manciata di minuti durante i quali raccontare i nostri interessi. Nel mio caso, data la mia passione per il calcio, mi è stato anche chiesto di palleggiare. Alla trama del mio racconto e al suo messaggio, tuttavia, non sono stati lasciati che pochi secondi di gloria.
Che impressione ti ha fatto quindi il concorso?
Nonostante il prestigio che ancora certamente trasmette il nome del premio Campiello, l’esperienza sul palco mi ha tuttavia fatto constatare ciò che oggi penso sia un’opinione diffusa: cioè che la letteratura debba essere spettacolarizzata e “brandizzata”. Mi sembra che debba contribuire, al pari di altre forme di intrattenimento, all’esaltazione e alla fama dell’autore che la produce, e non al bene del lettore che ne fruisce.
Cosa significa scrivere per te?
Scrivere, secondo me, non dovrebbe soltanto essere ridotto alla conquista di un trofeo o di un assegno per il proprio prestigio personale, ma essere l’espressione più alta di chi siamo come uomini, tramite lo strumento più nobile che possediamo, cioè la parola.