Giornalistico e antigiornalistico al tempo stesso: Pasolini nella stampa periodica
Contraddizioni e pensieri di “PPP” commentati da chi l’ha studiato e in qualche caso conosciuto
di Chiara Muzzin
Su Pasolini c’è sempre qualcosa di nuovo da imparare, “è un autore che ti distrugge, non che ti conforta” ed è inutile cercare di possederlo perché “comunque lo si prende, da qualche parte sfugge”. Si conclude con queste parole del giornalista Nicola Mirenzi il convegno di studi “Pasolini e il giornalismo”, organizzato dal Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia (Pordenone) e curato da Angela Felice e Luciano de Giusti. Moderatore nella mattinata dell’11 novembre a palazzo Burovich è Roberto Carnero, docente di letteratura moderna e contemporanea all’università di Verona.
Anna Tonelli (università di Urbino) parla di Vie Nuove, rivista legata al Partito comunista italiano, e soprattutto della rubrica di dialoghi con i lettori che venne assegnata a Pasolini dalla Macciocchi, quando era alla direzione del giornale. Il poeta si distingueva per le sue risposte spontanee, spesso anche in contrasto con le teorie del PCI: come dice la professoressa, il suo rapporto con i lettori è “una forma di arte incontaminata, che supera le barriere del partito”. Questo lo rese carismatico e lo portò da un lato al successo, dall’altro alla persecuzione, per riprendere il ragionamento di Gian Carlo Ferretti, critico letterario e storico dell’editoria. “Il successo è l’altra faccia della persecuzione”, affermò Pasolini stesso nel ’71. Del resto uno degli elementi “antigiornalistici” di Pasolini, tornando all’intervento di Mirenzi, è proprio quello della contraddizione: la realtà stessa è contraddittoria, e forse è ancora più importante della verità.
Sul tema della verità riflette anche Benedetta Tobagi, figlia di Walter, il giornalista ucciso dai brigatisti nel 1980, che sottolinea l’importanza di dare alle persone strumenti per decodificare il reale, da parte dei giornalisti e degli intellettuali in generale. Strumenti che sarebbero molto utili ai giovani, ad esempio. “Oggi i ragazzi non leggono i giornali e questo è un problema per la democrazia”, aggiunge Carnero. Ed è proprio ai ragazzi che si rivolgeva spesso Pasolini, cercando di scuoterne le coscienze in modo talvolta brutale, come fece nel componimento Il PCI ai giovani. Qui infatti, riferendosi agli scontri di Valle Giulia del ’68 tra i manifestanti universitari e i poliziotti, scelse di schierarsi con i secondi: i primi avevano “facce da figli di papà”, per lui.
“E voi, cari (benché dalla parte della ragione) eravate i ricchi, mentre i poliziotti (che erano dalla parte del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque, la vostra!”
Come ricordano Massimo Raffaeli, filologo e critico letterario, e Tommaso Di Francesco, poeta e giornalista, l’autore, che indubbiamente aveva a cuore le vicende del potere e delle sue trasformazioni in Italia, denunciò più volte l’omologazione culturale che coinvolgeva giovani fascisti e antifascisti. Lui di certo era uno che non si omologava: il 30 aprile 1973 è stato capace di scrivere a Piero Ottone, direttore del Corriere della Sera – insomma, suo datore di lavoro – una lettera in cui gli dava della “triviale e laida puttana”. L’episodio viene ricordato da Antonio Padellaro, per un periodo suo collega, suscitando l’ilarità del pubblico. Ottone comunque, lungimirante, promosse lo scrittore irriverente. Come dice Di Francesco, “è sperabile che nasca un nuovo Pasolini”.