Festivaletteratura: gli sradicati di Bevilacqua e Desiati
Durante il terzo giorno del Festivaletteratura la redazione di Pass Magazine ha seguito tre eventi: Bianca Pitzorno ha introdotto la scrittrice Francesca Melandri e lo scrittore Marco Balzano in un dialogo sulle migrazioni. Espérance Hakuzwimana Ripanti ha invece condotto l’incontro con Giacomo Bevilacqua e Mario Desiati, mentre Nadeesha Uyangoda ha intervistato l’autrice di Adorazione, Alice Urciuolo, già sceneggiatrice della celebre serie tv di Netflix, Skam Italia.
L’incontro tra il romanzo e la graphic novel
Il filo che collega le opere di Giacomo Bevilacqua, la graphic novel Troppo facile amarti in vacanza, e il romanzo Spatriati di Mario Desiati è lo sfuggire. Le protagoniste intraprendono un viaggio per scappare, andare via e recarsi oltre. A presentare i due scrittori e le due opere è la scrittrice Espérance Hakuzwimana Ripanti. In questi testi compaiono personalità che vogliono prendere le distanze da ogni cosa, che vogliono allontanarsi dalle proprie origini. A questo proposito lo scrittore Desiati sottolinea una differenza sostanziale tra le parole “origine” e “radici”:
Le radici ci danno sostanza ma ci trattengono. L’essere umano ha bisogno di strade, non è un albero che necessita delle radici. È l’origine che ci dà l’imprinting, che ci fa essere noi stessi. Essere sradicati vuol dire essere liberi, fuori dagli schemi.
Libertà, una parola sentita tantissime volte in questi ultimi due anni, uno stato che abbiamo imparato a bramare con foga e che per molto tempo ci è stata limitata. Giacomo Bevilacqua, fumettista, ammette ironicamente che la sua vita prima del Covid19 non era tanto diversa da quella che in seguito ci è stata imposta. Ammette:
La vita del fumettista è simile a quella della quarantena.
Il romanzo di Mario Desiati narra la storia di Claudia e Francesco, divisi tra le terre della Puglia, poi Milano e Berlino, vivendo continuamente con una sorta di inadeguatezza, non appartenenza, che pervade sia chi decide di restare sia chi sceglie di andarsene.
Il senso del testo lo si comprende già dal titolo: “spatriati” è una parola del dialetto di Martinafranca, terra d’origine dello scrittore, e si riferisce a coloro che vanno via, senza una patria, disorientati. Questo termine sembra fare una suddivisione tra coloro che decino di rimanere, crearsi un futuro in una terra che solitamente viene criticata, dando possibilità che chi decide di andare non vede e affatto, e appunto questi ultimi che cercano fortuna altrove. Questo termine divisivo, in realtà, secondo Desiati stesso non fa discriminazioni di genere:
nel mio dialetto “spatriati” si dice “spatriet” e si declina allo stesso identico modo sia al maschile, sia al femminile, sia al plurale. Siamo tutti “spatriet”.
L’essere senza dimora può riferirsi anche alla protagonista della graphic novel di Bevilacqua che intraprende un viaggio, insieme al suo fedele compagno a quattro zampe, per le strade di un’Italia desolata, con tanti angoli bui, affinché raggiunga il confine e lasci per sempre il Paese. Il silenzio è una parte fondamentale del libro, poiché l’intento della protagonista Linda è quello di far vedere tutti i brutti i motivi per cui decide di abbandonare l’Italia. Dall’incontro tra queste due persone diverse, questi due libri diversi, e la mediazione di Espérance Hakuzwimana Ripanti viene naturale porsi la fatidica questione: andare via, scegliere di restare per cambiare le cose, decidere di tornare, rimanere lontani. Sicuramente, tra la rabbia di non riuscire a cambiare le cose e la speranza di una vita migliore, in ogni caso, come conferma Bevilacqua, vince la speranza.
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