Festival del Cinema di Venezia 76: diario di bordo
Pass è stato anche al Lido. Una ragazza della redazione racconta la sua esperienza (e i dietro le quinte) del Festival della laguna
di Beatrice Castioni
Quanto deve essere bello svegliarsi presto per prendere un treno, saltare il caffè per avere il tempo di riempire la valigia delle ultime cose e poi partire alla volta della stazione, e finalmente accomodarsi a bordo? Ebbene, io non lo so. Perché il treno che avevo programmato ha fatto un ritardo. Di tre ore. Passate in carrozza. Diciamo che avrebbe potuto partire meglio, ma se la destinazione è il Festival del Cinema di Venezia, sei disposto anche a chiudere un occhio.
Dopo una interminabile mattinata, arrivo affamata e in cerca di un pranzo, e poi subito alla volta del Lido: devo ritirare l’accredito universitario, così poi da avere anche alcune linee di vaporetto e autobus gratuite (il che non fa mai male). Lo sbarco sul Lido mi fa sempre lo stesso effetto, anche se non è la prima volta che partecipo al Festival.
Una scarica di adrenalina mi percorre la schiena, e sento che sarà una settimana piena di avvenimenti e avventure. Quest’anno non sono solo una appassionata, ma ho il compito di scrivere delle recensioni in diretta per un blog di cinema. Comincio ad abituarmi alle lunghissime code che dovrò fare prima di ogni proiezione e ritiro finalmente il mio pass. Sono ufficialmente pronta per partire!
I giorni passano, i film si accumulano, le ore sotto il sole pure (nota positiva? Ho prolungato l’abbronzatura estiva). Quante emozioni, riflessioni, suggestioni: una pellicola dopo l’altra che scorre davanti agli occhi, tanto che quasi ti sembra di confonderne le trame e i confini. La possibilità di incontrare i membri dei cast e i registi al termine delle proiezioni mi ha dato l’opportunità di capire meglio l’intento degli addetti ai lavori e di applaudirli in prima persona.
Giornate da quattro e più film ciascuna, che i pranzi e le cene si mascheravano da aperitivi veloci, gelati consumati in coda e panini alle dieci di sera. È così: sul Lido il tempo funziona diversamente. Non sono i pasti a scandire le ore, ma i film. Loro, grandi protagonisti indiscussi, decidono che se la proiezione è alle 8:30, tu farai colazione all’alba oppure dopo. Se alle 13 danno in sala quella storia che non vedevi l’ora di vedere, ci vai anche un’ora prima per prendere posto.
E il pranzo diventa un miraggio lontano, tenuto a bada da pacchetti di crackers e caramelle strategiche da borsetta. Ma in fondo che importa? Sali minerali sotto braccio, buoni amici con cui ingannare l’attesa (o nuovi conoscenti con cui chiacchierare di cinema sapendo che non si annoieranno), e si affronta tutto.
E le star? E sì, perché non sono di certo meno importanti dei film nei quali recitano. Al Lido sbarcano ogni mattina ragazzini, anziani, signori distinti e persone che nel giorno libero vogliono fare qualcosa di diverso. Tra questi, gli irrinunciabili delle transenne. Si tratta di individui coraggiosissimi, disposti a stare sotto il sole dalla mattina fino alla sera, quando avverrà il red carpet e le celebrità sfileranno tutte agghindate a firmare autografi e concedere selfie. Armati di ombrelli per proteggersi dall’afa, coperte per poter riposare i piedi e tanta buona volontà, sono quelli da cui guarderemo le foto sui social.
Se possiamo scrutare il pelo nel naso di Brad Pitt, la cucitura del vestito di Scarlett Johansson o la nuova matita per occhi di Johnny Depp, in fondo è merito loro. Fotografati a loro volta da giornalisti, passanti e curiosi, popolano il tappeto rosso più famoso d’Italia e sanno tutto. Se gli chiedi “chi passerà oggi in conferenza stampa?”, loro potranno darti un elenco dettagliato degli orari e dei volti noti che si affacceranno nella hall dell’Excelsior, nel Palazzo Casinò o nel terrazzo sulla spiaggia. Tutti li amano, perché sono la versione più accomodante dei giornalisti, a cui puoi chiedere tutte le informazioni che cerchi senza sentirti dire un “non posso dirtelo”.
Altra categoria che potrete di certo trovare alla Biennale cinematografica, è quella degli esperti. Potrete star certi che loro avranno inserito nella scaletta di proiezioni da vedere titoli sconosciuti ai più, di registi mai sentiti nominare, lunghi tre ore e mezzo, in bianco e nero e forse pure filosofici e concettuali. Non azzardatevi a chiacchierare in modo sommario dei film e della tecnica.
Con loro si discute e disquisisce con intelligenza e sagacia. Vince chi se ne esce con più collegamenti a pellicole del passato e chi mostra più conoscenza sulla tecnica filmica. Il consiglio è di addentrarvi in un discorso con questi fervidi conoscitori dell’arte visiva solo se siete avete una buona oratoria.
E poi ci sono gli altri: persone comuni appassionate di cinema, presenti per qualche film o per l’intero Festival, che incontrano altri appassionati, chiacchierano senza scomodare alti riferimenti astratti e aspettano i loro attori preferiti in alcuni punti strategici, nella speranza di strappargli una firma veloce. Dove mi inserisco io? In questa categoria, che è un po’ una giusta via di mezzo tra l’essere fan e amante del mondo glamour e patinato del cinema, e apprezzare le storie portate sullo schermo, viverle e rifletterci sopra.
Che poi, rifletti anche sopra agli episodi inusuali in cui ti trovi coinvolta. Vicini di poltrona che russano così forte da spingerti a domandare ai loro amici di svegliarli. E accorgersi che anche questi dormono. Un ragazzo che mette in pericolo la sua vita per scavalcare le poltrone senza far alzare la fila, ma per poco non cade rovinosamente a terra, sommerso da zaino, sacca e ombrello. Una signora con un fazzoletto per mano, che in lacrime ti confessa che “mamma mia, non pensavo fosse così commovente”!
Passano i giorni, e i dipendenti dei bar sul Lido ormai salutano o sorridono con uno sguardo d’intesa. E capisci con leggera preoccupazione che quando ti chiedono, pur sapendo già la risposta: “Il solito?”, forse hai esagerato con pizze e panini. Scarpe consumate, zaini pesanti calcati sulle spalle e ventagli ricavati da brochures, biglietti del traghetto, volantini pubblicitari. Che fatica! Ma ne vale davvero la pena? Verrebbe da chiederselo, in effetti.
Beh, se volete la mia personale risposta, posso dirvi che sì, ne vale la pena. Passata una settimana di caviglie doloranti e scottature, resta l’esperienza che hai vissuto. Resta l’incredibile emozione di poter vedere un film in una sala di 1700 persone, tutte in religioso silenzio e in attesa che i personaggi e un posto lontano li portino via. L’opportunità di poter sentire le ragioni dei registi per determinate scelte di scena, e come gli attori si sono preparati a quello specifico ruolo.
Resta la possibilità di vedere film che non saranno mai proiettati al cinema o che sono restaurati da decine di anni fa e che hanno fatto la storia della settima arte. La semplicità con la quale si incontrano nuovi appassionati come te, si stringono amicizie che vengono poi ricongiunte l’anno successivo. Stesso posto, stesso mare, è proprio il caso di dire. Ma anche, stessa passione.
Ti auguri sempre che il cinema sia una delle cose che possono restare. Essendo cresciuto con il cinema, a rischio di essere banale, per me ha sempre il suo fascino stare in una stanza buia e ascoltare e vedere qualcosa. Io spero sempre di trovare lì delle risposte e delle sicurezze.
(Tim Burton)