Ezechiele 25:17 e la filosofia di Tarantino
Pietà e vendetta moralmente giustificata in Pulp Fiction
Articolo comparso nella sezione “Cultura” del n°48 di Pass Magazine
di Gianmaria Busatta
Ezechiele 25:17. “Il cammino dell’uomo timorato è minacciato da ogni parte dalle iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi. Benedetto sia colui che nel nome della carità e della buona volontà conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre, perché egli è in verità il pastore di suo fratello e il ricercatore dei figli smarriti. E la mia giustizia calerà sopra di loro con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno su coloro che si proveranno ad ammorbare e infine a distruggere i miei fratelli. E tu saprai che il mio nome è quello del Signore quando farò calare la mia vendetta sopra di te”.
Considerato uno dei registi più influenti dell’ultimo trentennio, Quentin Tarantino ha esordito all’inizio degli anni ’90 con l’indimenticabile Le Iene, acclamato dal pubblico e dalla critica. Seguirà poi il capolavoro Pulp Fiction, che segnò una rivoluzione nella storia della cinematografia e da cui è tratta la citazione iniziale. Tra le ultime straordinarie opere di Tarantino ricordiamo Bastardi senza gloria, Django – Unchained e The hateful eight.
I film del regista si caratterizzano per essere tra i più profondi e riflessivi nel panorama del cinema contemporaneo mainstream. Non si tratta, infatti, solo di (numerose) scene di violenza, dialoghi sopra le righe, salti temporali e numerosi riferimenti alla cultura pop americana.
Tarantino compie, sì, un’innovazione nel linguaggio cinematografico, ma nella loquacità delle sue sceneggiature i film sviluppano qualche questione filosofica: vengono poste domande impellenti sull’etica, sulla morale, sul caso, sul tempo e su altre questioni cruciali.
Ogni film, ogni sequenza, ogni inquadratura meriterebbero un’analisi approfondita, sia sul piano della forma sia su quello della sostanza. Tuttavia, possiamo individuare un tema alquanto ricorrente nelle opere di Tarantino: il sentimento della vendetta, opposto a quello della pietà, che guida spesso le azioni dei personaggi.
Uno degli innumerevoli esempi a riguardo è la “ruggente furia vendicativa” della Sposa nella saga di Kill Bill, che non viene descritta in modo negativo o tragico, bensì legittima, o moralmente giustificata. Ma possiamo pensare anche alla vendetta e al senso di giustizia di Shosanna e Aldo Raine verso le alte sfere del nazismo (Hitler compreso) in Bastardi senza gloria; o la vendetta del “negro” Django verso il famigerato latifondista Candie, raccontata in Django – Unchained.
Se definiamo “pietà” un modo rispettoso di trattare gli altri, soprattutto quelli che si trovano sottomessi al potere di qualcuno, guardando le opere di Tarantino, si nota che la pietà dovrebbe essere un comportamento comune, ma è la vendetta ad essere giustificata.
Ciò appare contraddittorio: come si può essere giustificati a fare una vendetta se nello stesso tempo ci si deve mostrare misericordiosi?
Gli atti di vendetta nelle opere di Tarantino sono spinti dall’emozione e dal desiderio di appagamento dopo aver sofferto un torto da parte di un colpevole. Tuttavia in questi film la pietà non si sostituisce mai alla vendetta.
Consideriamo come esempio l’atto di pietà di Jules nella scena finale di Pulp Fiction: Jules non esclude il suo diritto a vendicarsi, dato che né Ringo né Jolanda gli hanno mai fatto niente di male. Sta, invece, impedendo loro di fare qualcosa che lo indurrebbe ad ucciderli, cioè evitare che prendano la sua valigetta, uccidere chiunque al ristorante, continuare con la loro vita di rapine, andarsene con il “Brutto figlio di puttana”, cioè il suo portafogli.
Jules è infatti coerente con l’insegnamento di Ezechiele 25:17, poiché non gli è chiesto il perdono, ma “che conduca i deboli attraverso la valle delle tenebre”. Il diritto alla vendetta non viene, infatti, eliminato, e la pietà diventa un sentimento lodevole, talvolta desiderabile.
In Tarantino una rispettosa pietà – cioè evitare di aggravare il dolore agli altri, quando possibile – può essere considerata necessaria. Tuttavia, una pietà che perdoni non è mai moralmente obbligatoria verso coloro che ci hanno fatto del male.
Chi è capace di perdonare dimostra di essere come una persona retta e più virtuosa di chi non possiede una pietà che perdoni; ma chi non vuole o non è in grado di perdonare non fa nulla di moralmente sbagliato.
Pertanto, noi tutti possediamo un obbligo morale a non causare dolore alle persone che non ci hanno fatto alcun male. Ma, secondo la visione di Tarantino, questo obbligo decadrebbe qualora subissimo un torto. Se, infatti, questo obbligo fosse sempre valido, ci collocheremmo in un contesto di pacifismo universale, in cui tutte le azioni violente sono considerate illegittime, compresa l’autodifesa sia personale sia sociale.
Come in Beatrix, sembra (solo superficialmente) che in Tarantino siano assenti la pietà, la compassione e il perdono. Ciò non vale per la razionalità, che implica coerenza: in Kill Bill Vol. 2 Bill riconosce il torto provocato a Beatrix e non si oppone a subire il diritto di lei di vendicarsi nei suoi confronti.
«Sono la pietà, la compassione, il perdono che mi mancano. Non la razionalità».
Beatrix Kiddo, Kill Bill Vol. 1
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