E noi, come stronzi, continuammo a ordinare

Pif, foto di Yanez
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L’incontro con Pif al Cinema Alcione, nella serata organizzata da Yanez per informare sulla precaria situazione lavorativa dei rider. Alla proiezione del film è seguito un dibattito molto partecipato, che ha portato alla luce ulteriori problematiche.

Nella sala del cinema Alcione già piena e con le note di Brunori Sas in sottofondo, si respirava la voglia di incontrare un personaggio che ha fatto e continua a fare denuncia sociale in un modo così umile che non passa inosservato. 

L’incontro col regista Pierfrancesco Diliberto (in arte Pif) e la proiezione del suo film “E noi come stronzi rimanemmo a guardare” si sono tenute nella serata di ieri, al Cinema Alcione di Verona.
Le poltrone di velluto rosso, in pendant con il sipario, ricordano quei vecchi cinema di una volta. Le luci si spengono, il film inizia.
Un’ora e quarantotto dopo, le luci si accendono, applauso. 
Dal fondo della sala arriva un uomo brizzolato, abbastanza alto, sulla quarantacinquina. Un applauso accoglie Pif, che sale subito sul palco e prende posto. 
Nel film Fabio de Luigi diventa rider per raccontare la precarietà di un lavoro che di professionale, ancora, ha ben poco. Durante il dibattito post-proiezione si riflette sulla loro condizione. Molti sono stranieri, alcuni non parlano la lingua, pochi hanno un altro lavoro. Spesso il lavoro del rider viene associato a questo: un secondo mestiere, per arrotondare. Ma quasi mai è così. 
La loro condizione è critica. 
L’algoritmo che controlla le applicazioni di delivery è programmato in modo da premiare chi lavora di più e meglio. Chi non manca mai un’ordine e chi si fa più chilometri in meno tempo. Chi più accetta, più lavora. Si guadagna quotidianamente, l’accredito è immediato ed è tutto gestibile dall’applicazione. Non esistono colloqui di lavoro, non ci sono filiali. Il kit arriva per posta.

Parrebbe funzionare tutto perfettamente: l’incontro riuscito tra tecnologia e lavoro manuale. 
Il film mette però in evidenza dei punti poco chiari in questo mondo fatto di biciclette e zaini cubici. Per mantenere una valutazione positiva e per far sì che gli ordini continuino ad arrivare, il rider deve seguire ritmi molto serrati, e passare molto tempo fuori. Molti di loro attendono la notifica nelle piazze delle città che fungono da punti di incontro. Visto che non esistono strutture adibite, nei mesi invernali soffrono il freddo, in quelli estivi il caldo. Ma soprattutto, manca una collaborazione tra i lavoratori. La compagnia punta anche a questo: creare una competizione tale per cui il “collega” sia visto come un avversario che potrebbe rubare l’ordine, se non accettato in tempo. Un meccanismo che distrugge la collaborazione naturale che si crea in ogni posto di lavoro. 

Foto di Yanez

La proposta di Yanez è quella di realizzare proprio un luogo per accogliere i rider. Un progetto realizzabile, ma a cui manca sicuramente una spinta da parte delle istituzioni. Perché anche se sono stati recentemente approvati un contratto nazionale e delle tutele, l’idea popolare di rider è ancora ben lontana da quella di lavoro dignitoso. 
La soluzione più semplice sembrerebbe essere quella di non comprare più tramite le app di delivery. Ma questo danneggerebbe più la company o più i lavoratori? Altri propongono la mancia come modo per sostenere. In una società che pretende la gratuità dei servizi, il cittadino è pronto a pagare di più per questo servizio? 
Si gioca al ribasso, come tutto ormai nel mondo del lavoro. 

Una sensazione di pienezza e cittadinanza attiva permeava la sala alla fine della serata, quando tutti hanno iniziato ad alzarsi e raccogliere le proprie cose. Pif saluta, così come gli organizzatori ringraziano la platea in sold-out. 
I dibattiti spesso fanno questo effetto: come se si fosse fatto tutto il possibile per migliorare la situazione.

E noi, come stronzi, continuammo a ordinare.

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