Death Note: perché il film di Netflix non convince come il manga/anime
Di Jessica Turato
È la fine di marzo 2017 e Netflix, azienda leader per i servizi di streaming on demand, rilascia il teaser trailer del tanto atteso del film Death Note, che agli abbonati è stato reso disponibile dal 25 Agosto. Trattandosi di uno dei manga/anime più amato di sempre, la notizia crea un grandissimo stupore e immediatamente il breve trailer raggiunge un altissimo numero di visualizzazioni, soprattutto perché per la prima volta si tratta di un remake hollywoodiano, diretto da Adam Wingard (Blair Witch, 2016).
Certamente le premesse per la riuscita di un film mozzafiato non mancavano. Chiunque sia anche solo vagamente familiare con la trama di quest’opera, sa che la grande forza della storia sta nell’oggetto da cui il manga prende il nome: il death note, per l’appunto, il “quaderno della morte”. All’apparenza un quaderno come tanti dalla copertina nera, ma che una volta aperto mostra la regola, prima fra le tante: “The human whose name is written in this note shall die”, e cioè “L’umano di cui nome sarà scritto su questo quaderno morirà”. Impossibile, penserebbe chiunque, scherzandoci sopra. Oppure no.
Ma vediamo in breve la trama del film di Netflix: a trovare il quaderno è Light Turner, un liceale che se ne sta sempre in disparte e ci viene presentato come il “primo della classe”, il ragazzo intelligente che passa i compiti ai bulletti. Il Death Note cade a qualche passo da lui, e dopo averlo raccolto e analizzato, Light deduce possa essere uno scherzo, almeno fino a quando non gli compare davanti Ryuk, uno spaventoso shinigami (in giapponese, “demone della morte”) che lo esorta a provarlo. Light lo fa, forse pensando che sia tutto un sogno e un po’ perché intrigato, ma ecco svelato il misfatto: il quaderno funziona. La persona di cui nome vi è scritto sopra muore davvero. Anche se inizialmente combattuto, Light sceglie di tenere il quaderno per se e comincia ad usarlo “a fin di bene”, scrivendone sopra i nomi di innumerevoli criminali e giustiziandoli, diventando sempre più dipendente dal potere del quaderno. Portandolo a scuola, Light rende curiosa Mia, una ragazza alla quale sembra essere interessato da tempo: dopo averle mostrato il potere del Death Note, nemmeno Mia riesce a resistere e comincerà ad aiutare Light nelle sue esecuzioni, e intreccerà una relazione con lui. Il numero così alto di morti dalle misteriose circostanze attira però l’attenzione del misterioso L, un investigatore privato che in passato ha risolto molti casi difficili: da qui comincerà una lotta contro il tempo per Light e Mia, che dovranno cercare in tutti i modi di non farsi scoprire.
Si sa che gli adattamenti cinematografici richiedono sempre diversi tagli e trasformazioni per questioni di tempistiche, ma purtroppo le modifiche appurate a Death Note (2017) finiscono per farlo sbiadire ancora di più in confronto al manga. Vediamo comunque qualche esempio, a partire dai più eclatanti: il film è ambientato a Seattle, il manga in Giappone. Questo il motivo per cui è stato scelto un cast completamente americano per gli attori protagonisti, con Nat Wolff (Colpa delle Stelle, Città di Carta) come Light Turner, Margaret Qualley (The Nice Guys) come Mia e Keith Stanfield (Short term 12, Scappa – Get out) come l’intelligente detective L. Chiunque abbia amato il manga concorderà che la scelta di cambiare nazionalità degli attori non va ad intaccare la storia di fondo, ma a mio avviso sarebbe stato molto interessante vedere un adattamento cinematografico più vicino alla storia originale, con attori e ambientazioni orientali. D’altronde buona parte della trama si rifà alla mitologia giapponese. Ma l’aspetto che mi ha deluso più di tutti è stato la mancanza di un vero confronto tra Light ed L, i due protagonisti. Entrambi freddi e calcolatori nel manga e nella serie animata, nel film vengono rappresentati come ragazzi fin troppo emotivi ed irrazionali: si perde così ciò che rappresenta l’essenza della storia originale, la frenetica partita a scacchi tra due delle menti più brillanti di tutto il Giappone, cui prezzo per la sconfitta è la morte. Non posso inoltre addentrarmi nel finale perché rischierei di spoilerarvelo; sappiate soltanto che anche questo è completamente diverso da ciò che abbiamo visto nel manga e nel suo adattamento, anche se nel complesso contiene aspetti controversi ed interessanti, e sembra quasi che Wingard lo abbia tenuto appositamente aperto nella speranza di poter, in un futuro, avere un sequel.
Non ho dubbi che prendendo il film singolarmente, senza quindi una conoscenza preventiva del manga e dell’anime, questo prodotto possa risultare intrigante. Il Death Note hollywoodiano è la storia di un liceale che un giorno si trova miracolosamente tra le mani uno strumento allettante e letale, che gli concede di avere tutto quello che ha sempre desiderato: una bella ragazza, potere e vendetta. Il vero peccato è che Death Note (2017) non nasce come prodotto indipendente, ma vive piuttosto nell’ombra di capolavori come il manga e l’anime (il primo del 2003 e il secondo del 2006): questo mi porta a dire che, dopo aver visto il film, è inevitabile paragonarlo al prodotto da cui deriva. E, senza alcun dubbio, Netflix non è riuscito ad essere all’altezza del grande lavoro di Oba e Obata, gli autori della storia originale, cui punto di forza non è quello di creare una storia per adolescenti, ma piuttosto è da ricercare in un racconto cui protagonista assoluta è una guerra morale che non conoscerà mai risposta.
In conclusione, credo sia facile intuire che di fronte a un prodotto così discusso e amato, sia impossibile per il pubblico non spaccarsi in due: chi è venuto a contatto solo con il film di Netflix troverà la pellicola piacevole, ben recitata e avvincente, ma chi, come me, ha avuto modo di innamorarsi del prodotto originale non potrà fare a meno di chiedersi dove siano finite le qualità che hanno reso il manga di Death Note tra i più popolari di sempre. Indubbiamente, tra errori e stravolgimenti, Netflix ci ha provato, ma sono dell’idea che avrebbe potuto fare molto meglio. Consiglierei comunque di vederlo: se non conoscete il manga ne rimarrete incuriositi e vi verrà voglia di leggerlo; se invece lo conoscete, passerete comunque una buona ora e mezza a cercare di capire quali aspetti siano cambiati dalla storia originale. Provare per credere!