Dal Doro Gjat carnico al “gato in tecia” vicentino
Friuli e Veneto sullo stesso palco? Una serata di musica e di linguistica al teatro Stimate
di Chiara Muzzin
I dialetti sono tra le principali espressioni delle varie realtà territoriali, rivelano subito un’identità. Spesso poi, «si fondono nelle diverse forme artistiche, e fra queste, in primis, la musica». È quello che è successo sabato 24 marzo al Teatro Stimate di Verona, ed è con questa riflessione che Mauro Felice, vicepresidente del Fogolar Furlan di Verona, ha inaugurato la serata. L’associazione, con il patrocinio del comune, ha promosso un doppio concerto: il gruppo veneto Veronesi tuti mati, composto da David Conati, Marco Pasetti, Giordano Bruno Tedeschi e Tommaso Castiglioni, e quello friulano di Doro Gjat e della sua Live band composta da Elvis Fior, Bad, Sanchez e Guzo, hanno suonato alternandosi sullo stesso palco. Due sono state anche le buone cause alla base della serata: la promozione della conoscenza delle lingue dialettali, e la volontà di sostenere la Fondazione Più di un Sogno onlus: era infatti possibile lasciare un contributo libero a quest’ultima.
I “Veronesi tuti mati” hanno portato sul palco un recital teatral musicale a base di jazz/swing e autoironia veneta. Nel primo set, la serata ne prevedeva due, hanno chiarito innanzitutto che mato non è un dispregiativo, anzi, «spesso per “mato” si intende una persona originale, a volte persino geniale». Le espressioni commentate, poi, sono state diverse, da l’è una val che se brusa a meso par sorte, e da anca massa, che «vuol dire tutto, e il contrario di tutto» a l’è il fiol d’un can, detto di qualcuno che è una testa calda, come gli Scaligeri. E si sa che gli Scaligeri erano tutto un Cangrande, Cansignorio, Mastino, e così via.
Doro Gjat, rapper e cantautore, ha aperto con Vai Fradi, title track dell’album uscito nel 2015, che vuole essere un incitamento: “vai fratello”, cioè “mettici un po’ del tuo!”. Ha raccontato poi di come nemmeno i friulani, per quanto siano un po’ chiusi, si astengano da certi commenti: «ogni volta che iei mi ven donja, a mi sclopa il cur come una bomba» («ogni volta che lei mi viene vicino, il cuore mi scoppia come una bomba»), canta in Dance with me. Nella serata ha anche regalato delle anteprime di Orizzonti verticali, nuovo disco che uscirà a breve, in cui ha approfondito il suo rapporto con la lingua friulana. Un altro termine da lui menzionato è stato scufiot (sberla), «che ha un suono bellissimo».
Nella seconda parte, la band di Verona ha scherzato sulla nota passione culinaria dei vicentini per i gatti, e ha fornito al pubblico la ricetta per preparare il “gato in tecia“. È passata poi a sonorità da far west parlando della Transpolesana (la strada statale che collega Verona a Rovigo), dove ogni veronese ha preso almeno una multa. Per essere davvero riconosciuti come autoctoni, inoltre, bisogna saper dire “pearà“, che non solo è il piatto tipico dei veronesi, ma “l’essenza tipica”.
Conati ha ironicamente notato: «noi per assurdo suoniamo a Verona invitati dal Fogolar Furlan», e Doro ha apprezzato il sostegno della minoranza friulana presente in platea, che nel suo piccolo ha fatto sentire il suo calore: uno spettatore ha sollevato infatti una bandiera con l’aquila d’oro, e un altro era munito di un cartellone con scritto “Gemona c’è”.
Tra le canzoni proposte dal rapper in questo set c’erano Blu, Discolce (che significa “scalza”), e Rune, che aprirà il nuovo album. Ma forse non è il caso di fare troppi spoiler.
Le due band, alla fine, hanno suonato e cantato assieme sul palco, facendo coabitare così due lingue dialettali e due generi diversi. Come ha detto Felice, «la musica unisce, le specialità delle tradizioni, anche rinnovare nella modernità, divengono motivo di arricchimento, e non di separazione».