Cosa si nasconde nell’acqua
di Beatrice Castioni
“The shape of water” di Guillermo Del Toro, dal 14 febbraio nelle sale
America, 1962. Elisa, una giovane donna affetta da mutismo, si reca come tutte le mattine al lavoro. Mentre sta facendo le pulizie nelle stanze del laboratorio governativo si accorge che dentro una di queste è rinchiusa una creatura anfibia e sconosciuta all’uomo, tenuta all’interno di una cisterna. Ne rimane affascinata e capisce sin da subito che è possibile instaurare un rapporto comunicativo grazie al linguaggio dei segni. Questo essere tuttavia è considerato solo un esperimento e viene studiato per scopi scientifici e militari; molte autorità governative infatti sarebbero pronte a sacrificare la sua vita senza troppi scrupoli. Giorno dopo giorno nasce un amore piuttosto inusuale, tra una donna e un mostro acquatico, che seppure presenta caratteristiche fisiche simili a quelle umane (due gambe, due braccia e un corpo che gli permette di stare eretto sui due arti inferiori), rimane comunque qualcosa di ‘particolare’ con cui avere una relazione. Del Toro ci vuole mostrare come l’amore non guardi al colore della pelle, etnia, età e addirittura specie. La connessione che si crea tra i due è mentale, il legame è basato sulla fiducia e il coraggio di difendersi a vicenda da chi possa ostacolare il loro affetto diventa più forte di qualsiasi altra cosa.
Non è certo una storia probabile nel mondo reale, ma proprio per questo acquista l’atmosfera fiabesca e futuristica che è il segno distintivo di tutto il film. Lo spettatore si chiede come sia possibile che amarsi tra una ragazza muta e un mostro acquatico, entrambi coi propri problemi e peculiarità, sia più semplice e naturale che amarsi tra ‘comuni’ esseri umani. Poi, cosa significa davvero essere normali? Umani? E’ forse più umano il colonnello, principale antagonista, spietato assassino che insegue a tutti i costi la sua causa e che vuole uccidere il mostro? Gli scienziati e le autorità che hanno a che fare con il laboratorio temono ciò che non capiscono, diverso da loro, poiché non possono prevederne le mosse. La certezza di poter annientare una minaccia in caso di emergenza fa commettere agli uomini tante azioni deplorevoli e folli, perché si sentono più coraggiosi e potenti. La realtà è che ciò che provano è solo un sentimento superficiale: da sempre le cose che non vengono capite dalla razionalità scientifica spaventano, ma Elisa ci insegna che si possono sempre scoprire nuove risorse nell’altro, esplorare sotto un’altra luce i sentimenti, imparare e magari trovare in sé una forza che non si pensava di possedere.
Una favola oscura e interamente percorsa da un’atmosfera inquietante e tesa, ‘fatta per adulti’. L’incipit e la conclusione della pellicola sono narrate da una voce fuori campo come accade nei migliori ‘C’era una volta’, anche se nel nostro caso potremmo tradurlo come un ‘Ci sarà un giorno, forse’. Se la storia d’amore è irrealistica, tutto il resto invece lo è eccome, così come la crudeltà e l’insensibilità dilaganti; il regista ci dice che dovremmo preoccuparci più per questo, per ciò che l’umanità sta diventando (o è già diventata?). Inoltre al termine della visione è presente la morale, tanto cara alle storie per bambini, ma qui più dura e d’impatto. Qual è quindi la forma dell’acqua, che da il titolo alla pellicola? Rimane un qualcosa di inafferrabile e non identificabile, proprio a causa della sua natura da fluido? Si plasma e da vita a qualcosa di reale e tangibile? Forse è stata tutta un’illusione, una grande fantasia, nulla di ciò che abbiamo visto è stato reale; dall’acqua è stato creato e nell’acqua è finito improvvisamente.