Cosa c’è dietro al curriculum: stage, tirocini e precariato

Evento Udu Anpi giovani e lavoro
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Un dibattito su tirocinanti e lavoratori poco tutelati nella sede Anpi di Verona, venerdì scorso. Ospiti la docente Donata Gottardi, il segretario Filt Cgil Verona Raffaello Fasoli e l’autrice Emilia Garuti.

Under the curriculum” nasce dalla voglia di Udu Verona, della Rete degli Studenti Medi e Yanez di cambiare la situazione che vivono i giovani nell’inserirsi nel mondo del lavoro durante o dopo il percorso universitario. Un dibattito, lo scorso venerdì 3 settembre, focalizzato sui tirocinanti e sui lavoratori in contesti nuovi e poco tutelati come rider e lavoratori dell’e-commerce. A parlarne, nella sede dell’Anpi di Verona, tre ospiti: Emilia Garuti, Donata Gottardi, Raffaello Fasoli.

Inizia Emilia Garuti, scrittrice, copywriter, sceneggiatrice, presentando il suo libro, una denuncia sociale mascherata da romanzo. “Tutto fa curriculum” è un giallo-comico, la protagonista è una tirocinante venticinquenne. Frustrata e sfruttata dal suo capo, ogni giorno gli sputa nel caffè, fino a quando viene avvelenato. La protagonista diventa rapidamente un’investigatrice che ha solo 48 ore per scovare il mandante dell’omicidio prima che le tracce di saliva la trasformino in un’indiziata. Il giallo è un pretesto per parlare della condizione dei tirocinanti, spesso considerati l’anello debole della “catena alimentare”. Giovani con voglia di fare, che si ritrovano a fare lavori che non aumentano la capacità nel settore desiderato: i classici caffè e fotocopie. Assunti da agenzie che prendono stagisti a ripetizione, cambiandoli ogni 6 mesi, i tirocinanti vengono illusi che la loro situazione nell’azienda sia precaria, una gavetta necessaria per raggiungere piani più alti.

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Raffaello Fasoli, segretario Filt Cgil Verona, dice che il tirocinio è «la maggiore forma di lavoro precario. Anzi, non è neanche considerato quello, è quindi il precariato all’ennesima potenza». Il sindacato dovrebbe avere la capacità di intercettare le nuove figure dei lavoratori in settori poco tutelati, così da migliorarne le condizioni e inserirli in un contesto dignitoso.

Il problema dei “nuovi lavori” è proprio che sono difficilmente intercettabili, e spesso l’approccio è troppo antico perché gestito da generazioni che non hanno mai vissuto il mondo che sta emergendo. Il mercato del lavoro, «io preferisco chiamarlo mondo del lavoro» dice Fasoli, è in un continuo cambiamento che è stato esponenzialmente velocizzato dalla pandemia. La soluzione ai problemi che si trovano ad affrontare i lavoratori di oggi non può essere la stessa proposta ad una realtà che nel frattempo è profondamente cambiata. 

Evento Udu Anpi giovani e lavoro

Donata Gottardi, docente di Diritto del Lavoro all’Università di Verona, precisa che il dibattito su stage e tirocini non è nuovo. Questi sono stati regolati, ma dagli inizi del 2000 c’è stato un conflitto tra Stato e Regioni dal punto di vista di normativo. Dato che il lavoro è competenza dello Stato ma la formazione è di competenza della Regione, il conflitto arriva alla Corte Costituzionale. A questo punto la questione viene analizzata ma rimandata alla Regione perché non considerata competenza statale; e il ciclo si ripete. «L’obiettivo del tirocinio è la formazione – spiega Gottardi – e la retribuzione è un tramite per entrare nel mondo del lavoro». Se spesso la paga è così bassa da non essere considerata una retribuzione dignitosa, e lo studente non viene formato, decade completamente l’utilità del tirocinio stesso.

Il cambiamento può arrivare dall’Unione Europea e dalla nuova governance di Ursula von der Leyen, che ha deciso di muoversi sul tema della retribuzione minima. È un tema complesso, principalmente perché il rischio è quello di perdere tutto ciò che viene da un contratto collettivo: dal momento in cui al lavoratore spetta una retribuzione minima non è scontato che gli spettino anche le altre garanzie di cui gode ora. Basti pensare al sistema (abolito) dei voucher, in cui c’era garanzia di una retribuzione ma nessuna copertura normativa come malattia e infortuni.

Dall’altro punto di vista, tornando sul focus della serata, la situazione di tirocinanti e gli stagisti sarebbe nettamente migliore se ci fosse una retribuzione minima di riferimento.

Piccola parentesi di dovere, per rimanere in tema universitario, sui portinai sottopagati dalle cooperative da cui sono assunti. «L’attuale appalto dell’Università ha alzato la base d’asta, ma il risultato è stato che il differenziale aggiuntivo è stato trattenuto dalla cooperativa lasciando poco ai lavoratori. Il sistema purtroppo non può essere cambiato perché il costo del lavoro non può superare l’80% della quota di finanziamento riconosciuta all’Università. Se quindi i portinai venissero assunti come dipendenti diretti, il budget verrebbe sforato, togliendo la possibilità di assumere ricercatori e altro personale necessario al funzionamento dell’Università» spiega Gottardi. 

Affrontato il punto di vista teorico, sorge spontanea la domanda del cosa può fare concretamente un giovane stagista o tirocinante. I problemi sono due: il primo, il neo-lavoratore o lavoratore precario non è a conoscenza degli strumenti per farsi valere. Il secondo, spesso la persona vive nella paura di alzare la testa, pensando che quello che sta facendo è una gavetta necessaria, una situazione momentanea, e che farsi valere metta a repentaglio il futuro nell’azienda.

L’unica soluzione è agire a monte. Per arginare il gigantesco precariato, la politica italiana ed europea ha bisogno di farsi carico di queste difficoltà e mettere in campo azioni serie. Il tirocinio è, dal punto di vista pratico, l’opportunità di colmare l’eccesso di teoria delle università italiane, che in alcuni casi non abilitano alle professioni, costringendo i giovani laureati a ulteriori periodi di formazione. «Ci è voluta una pandemia perché lo stato riconoscesse agli studenti di medicina il diritto di praticare senza un ulteriore esame dopo gli anni di Università» nota Deborah Fruner, coordinatrice di Udu Verona.

L’obiettivo è quello di evitare di finire un ciclo universitario completamente privi di competenze pratiche, come succede specialmente nelle lauree umanistiche. Una volta riconosciuto il problema, ne sorge uno altrettanto grande, cioè il quando e come intervenire. Forse la fase cruciale è quella dell’orientamento al lavoro. La formazione mirata al lavoro può insegnare quanta gavetta un dipendente deve essere disposto ad accettare prima che si tratti di sfruttamento, può insegnare che ogni individuo ha una dignità che non può essere messa da parte per paura di rovinare la carriera. 

Infatti, come hanno fatto notare i relatori della serata, le persone iniziano a lavorare non sapendo cosa siano, per esempio, la disoccupazione o un sindacato. Il pericolo è che la formazione diventi legata strettamente all’esigenza del mercato del lavoro, la quale però è in continuo mutamento.

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Una risposta

  1. 15 Settembre 2021

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