Centro antiviolenza Petra, un porto sicuro a Verona. L’intervista all’assessora Briani
Intervista a Francesca Briani, assessora alla Cultura e alle Pari opportunità del Comune di Verona
Concludiamo il mese dedicato all’eliminazione della violenza contro le donne parlando di Petra, il centro antiviolenza del Comune di Verona. L’assessora Francesca Briani, raccontandoci questa realtà, fa parlare tutte quelle donne che in anonimo, con la voce tremolante, chiamano il numero verde.
Cos’è Petra e da quanto tempo esiste questo servizio sul territorio?
«Petra è un servizio pubblico gratuito, fondato nel 2004, che garantisce alle donne in difficoltà l’ascolto telefonico, la consulenza legale e psicologica. Il centro viene contattato dalle vittime attraverso il numero verde, la mail o la segreteria telefonica, la quale è attiva 24 ore al giorno. Le vittime vengono ricontattate dal centro per fissare un colloquio, dove viene garantito l’anonimato».
Una volta che la vittima si rivolge al centro quali servizi vengono offerti?
«Dal colloquio emerge la situazione in cui si trova ogni singola vittima, e viene valutato un intervento che sia adatto alla persona. Oltre all’ascolto telefonico Petra offre anche alloggio in una struttura apposita, per un massimo di 6 mesi, con l’obiettivo di favorire un percorso di reinserimento sociale. Inoltre le forze dell’ordine vengono formate attraverso corsi tenuti da personale specializzato, in modo tale da essere pronti ad affrontare qualsiasi tipo di situazione».
Chi si rivolge al servizio, e quali sono le sue caratteristiche?
«Il centro Petra accoglie chiunque subisca violenza indipendentemente dal genere, ma la presenza femminile è molto forte e compone il 98% del totale delle vittime, a fronte del 2% composta da maschi. Il 70% delle donne che chiedono assistenza sono cittadine italiane, e il 30% è formato da donne con provenienza estera. Il 68% di esse vengono accompagnate, durante il percorso, da figli minorenni. Una delle cause per cui le vittime si rivolgono a Petra è la mancanza di indipendenza economica. Infatti il 45% delle donne non sono autonome economicamente, e il 13% sono autonome solo in parte».
Quali sono i tipi di violenza che subiscono le vittime?
«Il maltrattamento psicologico, insieme a quello fisico sono maggiormente presenti con rispettivamente al 36% e 31%. Seguono le violenza per causa economica del 21%, e infine l’8% è la percentuale che rappresenta la violenza sessuale. La violenza non ha niente a che fare con l’affetto».
Che effetto ha avuto il Covid sulle violenze?
«Il numero di violenze a causa della pandemia è aumentato, ma allo stesso tempo le vittime non hanno avuto la possibilità di contattare il centro. Durante le chiamate erano spaventate, si nascondevano in bagno per non farsi sentire dal compagno o dai figli. Non c’è un’evidenza dei numeri a causa della difficoltà nel chiamare, però quello che emerge è che negli ultimi anni si è alzato il numero di contatti. Dal 2017 in avanti si è passati da 320-380 a 500».
A ottobre dell’anno scorso è stato sottoscritto il “Protocollo di Rete per il contrasto alla violenza contro le donne”. Un’iniziativa della Regione Veneto, che include anche la Provincia di Verona. Come funziona?
«Lo scopo è di creare una rete di contatti con il tribunale, i carabinieri, Miur, l’Azienda Ospedaliera, l’Ulss 9, i centri antiviolenza, l’ordine dei medici e degli avvocati. La collaborazione tra questi soggetti favorisce la formazione di tutti coloro che sono in contatto con le famiglie. Infatti, grazie ad un’adeguata preparazione, possono cogliere i segnali delle violenze e saper indirizzare le vittime».
Intervista di Gloria Alite