Brexit: “Non Una Catastrofe ma un’Occasione”
L’opinione di Sergio Cau, Rappresentante degli Studenti della Lista Oltre
La mattina 24 giugno ci siamo svegliati e la prima cosa che abbiamo scoperto è stata che i cittadini inglesi hanno deciso, attraverso un referendum, di uscire dall’Unione Europea. La notizia ha sconvolto i più, e soprattutto gli studenti che sognavano un futuro di studio o di lavoro nelle isole della Regina Elisabetta. Le analisi degli esperti sono contraddittorie e si brancola nel buio perché una situazione del genere mai si era verificata prima d’ora e nessuno sa bene cosa accadrà. In questi momenti penso sia opportuno aggrapparsi a quelli che sono stati i principi che hanno portato alla nascita dell’Unione Europea, chiedendosi a cosa serva l’Unione, al come è nata e al perché è nata, ricordando, senza pretese di completezza, cosa ha fatto per i suoi cittadini. Penso fermamente che debbano, in questi momenti, respingersi quelle valutazioni semplicistiche e basate sull’interesse nazionale o locale, ricorrendo alle banali equazioni per cui l’Euro è uguale a povertà e Europa uguale tecnocrazia.
Il progetto di creare l’Unione europea nasce per la volontà, il coraggio e la fantasia di grandi uomini quali Jean Monnet, Robert Schuman, Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi, Winston Churchill che avendo vissuto le atrocità delle guerre mondiali sognarono prima e, si impegnarono poi, a creare un spazio di libertà e di pace fra i popoli del vecchio continente. La loro intenzione era di creare una comunità europea tra i diversi popoli ed instillare in loro un senso di appartenenza culturale e spirituale per evitare il ripetersi di divisioni e nazionalismi che potessero sfociare in sanguinose guerre. Il processo di integrazione iniziato ormai quasi sessant’anni fa si è articolato, tra alti e bassi, in diverse fasi che hanno portato alla creazione di un’unica moneta e all’allargamento progressivo fino ai 28 stati che oggi compongono l’Unione. Questa grande famiglia è molto complessa da gestire e non si può negare che le procedure di governo siano talvolta barocche e complicate, ma questo è comunque necessario perché, ammesso che i popoli europei condividono gli stessi valori fondamentali, basti pensare ai diritti sulla dignità umana, sulla vita e l’integrità della persona o la libertà di espressione e di coscienza, ciò non toglie che le tradizioni e i costumi dei vari paesi siano differenti e vadano dunque rispettati. A margine di queste procedure, conosciute più dagli addetti ai lavori che dai cittadini europei, rimane che tanto è stato fatto e le nostre vite sono influenzate e frutto delle scelte di quei padri fondatori.
Tanto per dirne qualcuna: viviamo da circa 60 anni un periodo di pace, almeno in Europa, giriamo liberamente tra i 28 paesi, abbiamo la possibilità di incontrare donne e uomini europei e di parlare con loro utilizzando la lingua inglese confrontandoci su vari aspetti dal come fare la colazione al mattino a come curare le malattie più gravi; abbiamo la possibilità di lavorare come professionisti in tutte la parti d’Europa: quanti colleghi hanno il titolo di abogado spagnolo o quanti vanno a fare gli infermieri negli ospedali inglesi, o quanti oggi lavorano nelle grandi multinazionali da Varsava a Parigi, da Barcellona a Londra spendendo la laurea che ha una valenza EUROPEA . O come non ricordare la patente europea, il passaporto europeo, la possibilità per tutti gli studenti di fare l’Erasmus, che è uno dei più grandi progetti di scambio studenteschi che consente allo studente di andare a frequentare per una parte della sua vita un’università straniera e di tastare sulla propria pelle, il brivido di uscire dal quotidiano e vivere secondo i costumi e le tradizioni del paese e la città che lo ospiterà e, perché no, incontrare il compagno che amerà per tutta la vita. Questo, a detta di chi è andato, gli ha cambiato la vita e gli ha fatto capire in pieno, ciò che i nostri padri fondatori volevano: farci sentire tutti cittadini di unico grande stato senza differenza di casacca militare ma solo con un diverso modo di affrontare il quotidiano.
Da questa breve ricostruzione, sicuramente incompleta e per alcuni non condivisibile, voglio sia chiaro che ciò che più conta è il senso di appartenenza. Non bisogna farsi ingannare dalla retorica giornalistica che continua a parlare delle disgrazie finanziarie, bancarie e chi più ne ha più ne metta. Il vero dramma che si consumerà penso sia quello umano per i cittadini nelle cui vene scorre il sangue europeo che saranno le uniche vittime di questa situazione e tra questi ci saranno i nostri compagni d’università e di studi per cui verranno meno le diverse possibilità di andare a confrontarsi con il colleghi d’oltre manica; il desiderio di uscire dall’Unione degli inglesi nasce dagli errori che sono stati commessi dall’Unione stessa e dalle sue istituzioni che si sono concentrati, negli ultimi anni di crisi, più sui problemi finanziari che su quelli intimi dei cittadini, distogliendo l’attenzione da ciò che è più importante, ossia far sentire tutti parti della medesima comunità e della medesima famiglia. Ma nulla è perduto, questa è un’occasione che l’Unione ha, è un momento di grande importanza. Fermiamoci tutti a pensare perché se il masso della disgregazione ha appena iniziato a rotolare, questo non significa che non possa essere ancora fermato.
È il momento della responsabilità in cui le lingue sciolte dei governanti che si incrociano nei meeting internazionali più che calmare le acque non fanno altro che tirare fuori quegli istinti reconditi di vendetta che accendono la passione e creano scelte irresponsabili che potrebbero scrivere una storia che mai vorremo sia scritta. Qualcosa dal 23 giugno è cambiato, ma questo non significa che noi e l’Europa non possiamo cambiare. Sfruttiamo questa occasione, parliamone tra di noi. Confrontiamoci! Ascoltiamo il popolo inglese e chiediamogli cosa non va, cosa non gli piace di questa Europa, rimettiamo in discussione ciò che è stato fatto, costruiamo e immaginiamo un futuro diverso da quello che pensiamo possa essere ma non da soli, ma insieme con senso di appartenenza, di comunità con quel coraggio e senso di lungimiranza che oggi sembra essere perduto o solo forse, assopito. Questa è un’occasione non una catastrofe.
È bene ricordare le parole di Jean Monnet che disse: <<L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costituita tutta insieme. Essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto>>.
Sergio Cau