“Assassinio sull’Orient Express”, di Kenneth Branagh. Un giocattolo d’intrattenimento poco convincente

Tempo di lettura: 2 minuti

di Gianmaria Busatta

Trama e Recensione

L’investigatore Hercule Poirot si trova ad Istanbul quando viene informato su un importante caso a cui sta lavorando. Obbligato, quindi, a recarsi urgentemente a Londra, trova una sistemazione sul lussuoso Orient Express, il treno che congiunge Istanbul con Calais, un collegamento tra Oriente e Occidente.

Mentre il treno attraversa l’aspro territorio della Jugoslavia, di notte avviene l’omicidio del signor Ratchett, il cui cadavere viene rinvenuto all’interno del suo scompartimento segnato da numerose pugnalate. A Poirot viene quindi chiesto di risolvere quest’ultimo caso, che lo porterà ad investigare sui tredici occupanti della stessa carrozza del convoglio, rimasto bloccato da una slavina.

Non è la prima volta che il regista Kenneth Branagh (che interpreta anche l’investigatore protagonista) compie una trasposizione cinematografica: se vogliamo citare i suoi lavori migliori, ha rivisitato le opere teatrali di Shakespeare con pathos ed energia, ha portato sul grande schermo l’eroe Thor dei fumetti della Marvel. E, infine, è toccato ad Agatha Christie.

La sceneggiatura ripercorre la trama del libro, ma fino ad un certo punto: Branagh ha voluto esplorare di più il contesto narrativo, dedicando alcune sequenze ambientate fuori dal treno, tra panoramiche mozzafiato e qualche piccola (ma praticamente minuscola) scena d’azione (un inseguimento ed una scazzottata). In questo modo si è perso il fascino legato alla claustrofobia del treno ed alle congetture sofisticate. Fascino che, per chi ha letto il libro, rimane un lontano miraggio. Assume una natura interessante, d’altro canto, la conclusione (non scontata, per chi non conosce la storia), che azzarda un po’ di più rispetto al libro.

La regia è incline a coinvolgere lo spettatore mediante numerosi piani sequenza ed inquadrature audaci: spazio e tempo vengono quindi manipolati con la finalità di far sentire lo spettatore il vero detective della situazione. Le riprese dall’esterno, infatti, ci consentono di avere una visione più ampia e completa; le inquadrature a piombo (quindi dall’alto e perpendicolari al piano) ci permettono di avere tutto sotto controllo.

Tuttavia questi momenti durano davvero poco, perché poi i riflettori si spostano dal mistero del caso al personaggio di Poirotche, per quanto simpatico sia con quell’accento belga e con quei baffi arzigogolati, rompe quell’equilibrio tra narrazione e coinvolgimento che nel libro e nella versione cinematografica del ’74 di Lumet era presente.

Ecco, Branagh riunisce un cast eccezionale, ma che nella pellicola – non è una metonimia: il film è stato davvero girato con una pellicola a 65 mm – sembra non bucare lo schermo: emergono solo Daisy Ridley (è Rey di Star Warse Judi Dench, anche Michelle Pfeiffer, ma solo verso la fine. A Johnny Depp (che sta vivendo uno dei momenti più bassi della sua carriera) e agli altri sono concesse giusto un paio di battute. La meno convincente è Penelope Cruz (la missionaria).

Chi non ha letto lo straordinario libro della Christie o è vergine dalla visione degli altri adattamenti cinematografici, può (forse) apprezzare il film per la sua semplicità, ma senza sperare di lasciarsi appassionare. Chi ha letto il libro, invece, può apprezzare i costumi sfarzosi e la scenografia del lussuoso treno, senza concentrarsi troppo sulle differenze tra film e romanzo.

Tutti, però, ci auguriamo che il sequel “Assassinio sul Nilo” eviti gli errori commessi dal predecessore.

 

La Valutazione

2 stelle di 5

Il trailer

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