“Apollo 13”: un fallimento di grande successo
Nelle ultime settimane sono molte le news sullo spazio che ci hanno tenuto con il naso all’insù: dal lancio del Dart, a Samantha Cristoforetti al comando della SSI, agli sfortunati tentativi di lancio del programma Artemis. Questo mese, quindi, la rubrica culturale di Pass vuole celebrare l’esplorazione spaziale con dei film e dei libri a tema. Il terzo e ultimo appuntamento è con “Apollo 13” di Ron Howard, in cui un guasto tecnico trasforma la missione per il terzo allunaggio in una corsa contro il tempo per la sopravvivenza di tre astronauti.
Tra le missioni della NASA, la più popolare è sicuramente quella di Apollo 11, che portò il primo uomo sulla luna il 20 luglio del 1969. L’evento fu seguito in diretta da oltre 500 milioni di telespettatori in tutto il mondo e la celebre frase di Armstrong «questo è un piccolo passo per un uomo, ma un gigantesco balzo per l’umanità» è rimasta nella memoria collettiva. C’è però una frase, nella storia delle missioni Apollo, che è ancora più famosa di quella di Armstrong. Molti la conoscono, pochi saprebbero dire se sia solo la battuta di qualche film o se sia stata veramente pronunciata da un astronauta. Ebbene, è stato proprio uno degli astronauti della missione Apollo 13 a pronunciarla per la prima volta: «Houston, abbiamo un problema».
Apollo 13 è un film del 1995 diretto da Ron Howard, che racconta le vicende di una delle più sfortunate e rischiose missioni della NASA e che vinse due premi Oscar su ben 9 nomination. È evidente che Howard ci tenesse a raccontare una storia che parlasse dei drammi e delle gioie che vivono gli astronauti e le loro famiglie e per farlo si è assicurato di avere a sua disposizione alcuni degli interpreti di Hollywood di maggior successo: Tom Hanks, Kevin Bacon, ma anche Gary Sinise, che l’anno precedente aveva recitato al fianco di Tom Hanks in Forrest Gump nei panni del tenente Dan Taylor.
Howard, però, voleva anche che il suo film fosse il più fedele possibile negli aspetti tecnici sia per quanto riguardava la riproduzione della strumentazione utilizzata dalla Nasa, che per l’uso che ne veniva fatto dagli attori. Agli Universal Studios venne costruita una replica esatta della sala di controllo utilizzata a Houston nel 1970, mentre gli attori che interpretavano i controllori di volo, cioè il personale della NASA che segue la missione da terra, vennero sottoposti a corsi intensivi sull’utilizzo dei macchinari, studiarono le operazioni svolte per la missione Apollo 13 e dovettero riaprire anche i libri di fisica. Gli attori che dovevano interpretare gli astronauti, invece, hanno avuto l’opportunità di frequentare lo U.S. Space Camp in Alabama ed erano seguiti da astronauti delle missioni Apollo, compreso Jim Lovell (interpretato da Tom Hanks nel film). Per rendere realistiche le scene in assenza di gravità, Howard non badò a spese: su consiglio di Spielberg riuscì ad ottenere i permessi per filmare a bordo di un aereo utilizzato dalla NASA per addestrare gli astronauti all’assenza di gravità, che si verifica per circa 23 secondi con particolari manovre di volo. Riuscirono a girare tutte le scene in assenza di gravità in meno di quattro ore: è in imprese come queste che la maestria di tecnici e attori brilla particolarmente.
Ma cosa successe esattamente alla missione Apollo 13 in quell’aprile del 1970? Ron Howard, portando in vita il copione scritto da William Broyles Jr, ce lo racconta così.
In occasione del primo allunaggio, l’astronauta Jim Lovell ospita una festa a casa sua per seguire l’evento e promette alla moglie che anche lui riuscirà a camminare sulla luna. Alcuni mesi più tardi il suo equipaggio, che si sta addestrando per la missione Apollo 14, viene spostato alla missione Apollo 13 per problemi di salute di un membro dell’altro equipaggio, in quanto cambiare l’intera squadra è più sicuro che inserire un membro nuovo in una squadra già affiatata. Pochi giorni prima del lancio, però, si verifica lo stesso anche nella squadra di Lovell: Ken Mattingly (interpretato da Gary Sinise), è costretto a rimanere sulla Terra a causa di un’esposizione al morbillo. Essendo la missione imminente, la NASA si vede costretta a sostituirlo con un altro astronauta: viene scelto Jack Swigert, a cui presta il volto l’attore Kevin Bacon.
Nel frattempo, le famiglie degli astronauti cercano di non pensare ai rischi di questa missione costellata di imprevisti già prima della partenza, ma non riescono a non riportare alla mente la tragica sorte che era toccata appena tre anni prima alla missione Apollo 1, in cui durante un’esercitazione l’intero equipaggio morì per un incendio in cabina senza riuscire ad aprire la porta.
La Nasa decide di scherzare sulla scaramanzia legata al numero 13: Apollo 13 partirà alle 13:13 ed entrerà nel campo gravitazionale della luna il 13 aprile. Alle domande dei giornalisti gli astronauti rispondono scherzando e uno di loro dice: «il numero tredici non mi fa nessun effetto, a meno che non cada di venerdì».
Il lancio avviene regolarmente e tutto procede senza intoppi per i primi due giorni della missione. Le trasmissioni in diretta da questa spedizione non hanno però lo stesso successo di quelle del primo allunaggio: non trattandosi più di una novità, le televisioni decidono di non mandarle nemmeno in onda. La NASA le trasmette in una sala privata per le famiglie, ma decide di non parlarne con gli astronauti, in quanto è importante che portino a termine la missione raccogliendo i campioni di rocce lunari oggetto della spedizione. Inoltre, gli spettatori in quel momento sono devastati da un’altra notizia: i Beatles si sono sciolti!
Il terzo giorno si verifica un grave incidente: esplodono i serbatoi d’ossigeno durante la procedura di rimescolamento e la navicella viene gravemente danneggiata. A questo punto la NASA deve decidere se portare comunque a termine la missione o se riportare gli astronauti a casa.
Dopo alcune ore, si rendono conto che un allunaggio sarebbe impossibile e che le riserve di ossigeno e carburante utilizzabili potrebbero non essere sufficienti nemmeno per tornare sulla Terra. All’inizio del film una giornalista aveva chiesto a Lovell quale fosse il significato delle missioni Apollo successive alla 11, visto che sulla Luna ci erano già stati. La risposta dell’astronauta fu: «se lo immagina se Cristoforo Colombo fosse tornato dal Nuovo Mondo e nessuno avesse ripetuto la sua impresa?». Ed è così che Lovell, che probabilmente si immaginava come un Amerigo Vespucci dello Spazio, si trova piuttosto a vestire i panni di un moderno Ulisse, che dovrà impiegare ingegno e astuzia per affrontare le mille avversità che incontrerà nel suo viaggio di ritorno.
Intanto dalla NASA arrivano informazioni poco chiare. Gli astronauti si domandano se dalla Terra li informerebbero nel caso in cui non ci fosse più niente da fare e fossero condannati a morire nello Spazio. Per avere qualche possibilità di sopravvivenza, ci vogliono notevoli sforzi di comunicazione e ingegno sia da parte degli astronauti che dalla sala di controllo, in cui gli instancabili operatori lavorano giorno e notte facendo i conti e cercando soluzioni per riutilizzare i materiali disponibili a bordo della navicella. Ma è il ritorno di un personaggio che sembrava condannato a restare nell’ombra che si rivela decisivo per l’operazione di salvataggio.
Dopo la missione Apollo 17 del 1972 non ci sono più stati sbarchi sulla luna. A cinquant’anni di distanza sembra che finalmente riusciremo a dare una risposta alla domanda che si pone Lovell: «Guardo la luna e mi chiedo quando ci torneremo e chi ci andrà questa volta». L’obiettivo del programma Artemis è infatti quello di far sbarcare «la prima donna e il prossimo uomo» sulla Luna entro il 2024 con l’obiettivo a lungo termine di stabilire una presenza autosufficiente sulla Luna. In fin dei conti, forse, non avevano torto i giornalisti che avevano definito Apollo 13 “un fallimento di grande successo”: anche le missioni che non si concretizzarono come quelle di Apollo 1 e Apollo 13 sono state dei “piccoli passi” che permetteranno un “gigantesco balzo per l’umanità”.