Editoriale | Marzo 2015

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Cari lettori,

questo mese abbiamo deciso di dare ampio spazio alle imminenti elezioni studentesche, che, tra non molto, coinvolgeranno il nostro Ateneo.

Guardando i dati dell’affluenza delle tornate elettorali passate, risulta evidente che sono pochi gli studenti ad esserne a conoscenza o, comunque, a decidere di partecipare al voto ( circa il 12% nel 2010 e il 10% nel 2013).

Le motivazioni che stanno alla base di questa tendenza sono molteplici. Dalla carenza di una pubblicità adeguata ad una mancanza di conoscenza e di interesse degli studenti nei confronti degli organi di rappresentanza studentesca.

Ma ragioniamo sulle conseguenze del forte astensionismo.

Il meccanismo democratico si incentra sul principio di rappresentanza degli interessi del corpo elettorale. Ogni singolo elettore nel momento in cui pone nell’urna la sua scelta, di fatto delega qualcun altro a governare i propri interessi. Attraverso il voto, si esercita il potere di incidere sull’indirizzo dell’organo elettivo e di contribuire alla scelta dei suoi componenti, facendo pendere l’ago della bilancia per questa o per quella fazione. E’ chiaro, a questo punto, che laddove la partecipazione elettorale sia scarsa, l’organo elettivo risulterà privato della sua vocazione primaria: rappresentare l’interesse generale, o, per meglio dire, maggioritario.

Ogni decisione presa al suo interno sarà espressione della volontà dei più (degli studenti nel nostro caso) o rappresenterà la volontà di una minoranza?

E’ un vero problema di democrazia rappresentativa. La scarsa fiducia nel sistema elettorale, oggi riguarda grandi parti della società. E’ una disaffezione dilagante che trova il suo perno nel comune sentimento di impotenza e di incredulità in un cambiamento troppo spesso evocato, ma quasi mai realizzato. Per questo l’astensionismo va ascoltato e compreso. Non è dovuto ad una cieca fiducia nelle istituzioni e nella democrazia, tale da poter equiparare il non voto al principio giuridico del silenzio-assenso, ma molto spesso è un silenzio-dissenso. E’ segno di sfiducia di incomunicabilità.

Ma tornando all’Università, tre sono le liste che questo dicembre si propongono per rappresentare il corpo studentesco negli organi maggiori. Ognuna di esse si pone come un contenitore di idee diverse sull’Università. Votare per l’una o per un’altra o per nessuna non è indifferente. Scegliere a chi dare il proprio voto, comporta l’importante dovere di ponderare gli interessi di cui sono portatori i diversi soggetti e verificare quali coincidono con i nostri e quali sono le nostre prerogative.

Siamo sicuri, dunque, di voler consegnare in mano ad altri la nostra scelta? Siamo certi di non voler partecipare, privandoci del potere di decidere tra le alternative in gioco la migliore? Tagliarsi fuori dal procedimento democratico vuol dire divenire ricettori passivi della volontà di altri. Significa vivere l’Università, lasciando che le variazioni, gli stalli e le difficoltà ci passino accanto senza poter dire la nostra.

Miriam Romano

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